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Un’intervista ad Adriano Gasperi su Ciao Magazine

da Ciao Magazine

 

ADRIANO GASPERI – Da Ippocrate a Ulisse

 

Sessantottino nella sua essenza più profonda, medico e  bio-ingegnere, poeta e giramondo, da diversi anni Adriano Gasperi è basato alle Isole Canarie ma non rinuncia alle continua scoperta di nuovi luoghi e alle lunghe camminate. Lo abbiamo incontrato per parlare della sua affascinante esperienza internazionale ma anche di libri, poesia, viaggi e tanto altro.

 

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Dott. Gasperi, è nato a La Spezia e si è laureato in Medicina a Pavia, conseguendo poi due specializzazioni in Anestesia e Rianimazione e Tecnologie biomediche. Immediatamente, ha iniziato a girare il mondo come medico. Cosa l’ha spinta a fare questa scelta?

Il caso e la necessità. Il caso fu un accordo di cooperazione tra l’Università di Pavia e l’Università di Makerere a Kampala, la Capitale dell’Uganda di Idi Amin Dada, promosso dai professori Antonio Fornari e Mario Cherubino, rispettivamente Rettore e Preside della Facoltà di Medicina al tempo. Durante un viaggio a Kampala, s’impegnarono a fornire una squadra di medici per “rianimare” l’Ospedale  Universitario di Mulago, a corto di personale qualificato (il presidente Amin aveva da poco cacciato dal Paese commercianti e professionisti asiatici, molti dei quali insegnavano all’università). Al conto finale mancava un anestesista rianimatore di esperienza, merce rara anche a quel tempo, e dunque il Rettore, ricordandosi di uno studente che pochi anni prima era andato fino a Mosca per preparare la tesi, mi chiamò e così decisi di partire. Anzi, partimmo in due, perché anche mia moglie era anestesista. Avevamo entrambi 28 anni e partimmo con un figlio di poco più di un anno, senza la benedizione dei genitori!

La necessità. Allora non potevo ancora saperlo (anche se qualche prodromo si era manifestato, come ad esempio scegliere i Laboratori di fisiologia applicata alla Rianimazione del Prof. Negovsky, per condurre una ricerca che sarebbe diventata la mia tesi di laurea) ma, in effetti, una continua necessità di dedicarmi “ad altro” quando un progetto si stava per compiere, è stata una delle caratteristiche basiche del mio vivere. Proprio per questo, gli amici mi chiamano Ulisse…

Ha speso i primi anni di professione tra Italia e Africa, lavorando in Uganda e Mozambico. Dal 1986, si è poi dedicato al coordinamento di due programmi di cooperazione sociosanitaria finanziati dal governo italiano, rispettivamente in Egitto e Somalia. Ci può raccontare la “sua” Africa? Quali valori le hanno trasmesso questi luoghi e quali insegnamenti ha tratto dalla loro cultura?

Difficile parlare di una sola Africa. Ho trascorso dieci anni in tre paesi: Uganda, Mozambico e Somalia. Tre esperienze differenti, in paesi culturalmente distanti, con alle spalle storie coloniali che ancora mantenevano tratti identificativi, nonostante l’instabilità di quegli anni, caratterizzati da guerre e rivoluzioni. Indubbiamente, l’esperienza in Uganda fu la più complessa e formativa: passare dal comodo nido della Rianimazione I del San Matteo al mettere in piedi un reparto che in circa due anni ha trattato oltre 500 pazienti, fu una sfida entusiasmante, vinta grazie al sostegno di un piccolo gruppo di medici e infermieri  che mi accompagnarono nel sogno. Kytio, Kasuggya, Kasamba, sono nomi e volti che non dimenticherò, al pari di momenti destinati a entrare nella storia, come l’azione israeliana contro un gruppo terrorista arabo all’aeroporto di Entebbe, dopo un dirottamento. Azione che per me valse 36 ore di fila in sala operatoria.

Del Mozambico ricordo la rassegnazione lusitana innestata su una povertà atavica, aggravata da una guerra civile aizzata dai vicini sudafricani. E la difficoltà degli approvvigionamenti, nonostante le maratone oratorie di Samora Machel (comandante militare, politico e rivoluzionario, e primo presidente del Mozambico dopo l’indipendenza del Paese nel 1976, ndr). Due erano le risposte possibili in un negozio: “ainda non llego” o “ya acabo” (‘non è ancora arrivato’ o ‘è già finito’). Ma ricordo anche la dolcezza della gente.

Altro quadro in Somalia, terra dove non siamo stati capaci, nonostante dieci anni di amministrazione fiduciaria, di lasciare  un “patrimonio” coloniale oltre a qualche infrastruttura. L’iniziativa dell’Università Nazionale Somala (formare in loco una classe dirigente capace) fu, probabilmente, una buona intuizione che non ebbe, tuttavia, successo nel medio termine. La Somalia è stata, per molti anni, un paese che ha ricevuto una grande quantità di finanziamenti per lo sviluppo, usati per progetti che mai si sono trasformati in servizi. Con la  caduta del regime di Siad Barre – poco tempo dopo che avevo lasciato il paese – la Somalia ha vissuto le note vicende che l’hanno resa uno dei paesi più insicuri, non solo in Africa.

Dall’Africa ho avuto molto. La libertà di azione è stata, probabilmente, l’elemento più importante e devo darne grazia agli Ambasciatori con i quali ho lavorato.

 

 

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Samuele Editore

Samuele Editore nasce nel 2008 a Pordenone, nel nord est Italia. La stessa città di Pordenonelegge, una della più importanti manifestazioni letterarie nazionali. E città vicino a Casarsa, la terra di Pier Paolo Pasolini. Samuele Editore nasce riprendendo il marchio storico della Tipografia di Alvisopoli fondata nel 1810 da Nicolò Bettoni. La vecchia Tipografia nella sua storia pubblicò molte opere importanti come Le Api panacridi di Alvisopoli (1811, scritta per il figlio di Napoleone Bonaparte) di Vincenzo Monti. Poeta, scrittore, drammaturgo, traduttore tra i massimi esponenti del Neo Classicismo italiano. La Tipografia, che aveva per logo un’ape cerchiata da un tondo con il motto Utile Dulci, lavorò fino al 1852, anno della sua chiusura. Samuele Editore prende l’eredità di quel grandissimo momento storico prendendo gli stessi ideali e gli stessi obiettivi di Nicolò Bettoni. Intenzione bene esemplificata dal motto Utile dulci che Samuele Editore riprende a manifesto del suo lavoro. Si tratta infatti di un passo oraziano tratto dall’Ars poetica (13 a.c.): “Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, Lectorem delectando pariterque monendo” – “ha avuto ogni voto colui che ha saputo unire l’utile al dolce, dilettando e nello stesso tempo ammonendo il lettore”. Lo stesso passo viene ripreso nel XVIII secolo dall’Illuminismo italiano col significato di “il lavoro e l’arte sono fondamento di una vita serena”. Ripreso nello stesso significato anche dalla tipografia di Nicolò Bettoni, è adesso concetto fondante e continuamente ispiratore della ricerca poetica e delle pubblicazioni di Samuele Editore. Già dopo pochi anni di attività Samuele Editore si è imposto all’attenzione della cultura nazionale lavorando con i maggiori esponenti della poesia, del giornalismo, della televisione italiana. Con un lavoro di promozione continuo sia con manifestazioni proposte dalla Casa Editrice (a Pordenone, Trieste, Venezia, Milano, Torino, Roma, Napoli, eccetera) sia con poartecipazione a Festival importanti (Pordenonelegge, Fiera del Libro di Torino, Ritratti di Poesia di Roma) sia con newsletter e pubblicità settimanali in internet, Samuele Editore è considerato uno dei migliori editori del settore Poesia in Italia e vanta una presenza nei maggiori giornali nazionali quali Il corriere della sera, L’espresso, e continue recensioni nella famosissima rivista Poesia (la maggiore rivista italiana del settore). Col desiderio di aumentare la conoscenza della Poesia italiana e del mondo, a maggio 2013 Samuele Editore apre un ufficio internazionale dedicato a quegli autori che intendono far leggere le proprie opere al pubblico e ai poeti italiani, da sempre unici e importantissimi nella poesia mondiale. Con l’esperienza di un ottimo libro di poesie inglesi tradotte in italiano (Patrick Williamson) e del maggior poeta vietnamita vivente (Nguyen Chi Trung) Samuele Editore si propone di tradurre e proporre in doppia lingua le opere più meritevoli di autori non italiani, continuando la ricerca delle grandi opere poetiche di autori famosi e non famosi, capaci però di scrivere grandi libri. In questo si inscrive la partecipazione, nel 2014, al New York Poetry Festival. Con la grandissima convinzione che la Poesia può diventare ponte internazionale tra le persone, per farle parlare, per farle capire, creando cultura.