Tremùr – Alberto Zacchi

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Tremùr
Alberto Zacchi
Pagine 196
Prezzo 13 €
ISBN 978-88-94944-53-2
 
PREMIO BOLOGNA IN LETTERE 2021 – SEZIONE B (RACCOLTE INEDITE)
 
 


 
 
Versione online Sbac!
Prezzo 4 euro


 
 

Come è stato detto per sue altre raccolte, quella di Alberto Zacchi è «poesia già pronta per il teatro». Infatti, Zacchi è acclamato interprete delle sue poesie nel dialetto di Flero, il paese in provincia di Brescia dove vive e lavora, ed ha molti ammiratori che lo seguono nelle sue performance in biblioteche, teatri e chiese nei paesi della provincia bresciana e in quelle limitrofe.

Tremùr è la minuziosa sceneggiatura di una malattia, un non-luogo di gemiti e pianto, in cui sono presenti pochissimi oggetti: una scodella di latte e una tazzina di caffè, rivelatori del tremito che l’“io” vorrebbe ancora nascondere; un cucchiaio che la mano non sa più impugnare, un bastone e un deambulatore – nominato in dialetto come fosse un gioco dell’infanzia (el cariulì) per ridurre il pencolare del corpo e i rischi di cadute, perché, con il Parkinson, «l’è ‘n nà de traers / el corp / el par sta be stort / e ‘l pend / come la tór», ‘è un andare di traverso, / il corpo / sembra stare bene storto / e pende / come la torre’, così nella poesia La tór, dove vengono descritti sintomi classificati nei manuali come “sindrome di Pisa”. Tra gli altri oggetti, uno specchio in cui cercare conferma del tremore, «chel segn / che gnamó nüssü ved», ‘quel segno / che ancora nessuno vede’, perché all’esordio della malattia neurodegenerativa esso può ancora essere nascosto. Con il progressivo peggioramento si riducono i movimenti del volto, e dunque l’espressività: «compagn che gh’ès / ‘na maschera de cement», ‘come se avessi / una maschera di cemento’, confida l’“io” sconsolato che si sente defraudato del proprio viso dall’ipomimia. Ma poi, con autoironia, è egli stesso a minimizzare: non potrà più fare le smorfie! (Face).

Franca Grisoni

 
 
 
 
Disimel vó
 
Disimel vó come sè fa
a desmeter de tremà
che me adès so pö che fa.
 
 

Ditemelo voi
Ditemelo voi come si fa / a smettere di tremare / che io adesso non so più che fare.

 
 
 
 
 
 
El cariulì
 
La pucia ‘l cariulì
per nà vià drit,

la sè sinta zó,
la sculta e la ‘arda
chel che fó,

sügat en lacrimù
la fa chel che la gh’ìa de fa,
la me domanda
chel che sul a me
la pudia domandà.
 
 

Il carrellino
Spinge il carrellino / per andare dritta, / poi / si siede, / ascolta e guarda / quello che faccio, / poi / asciugata una lacrima / fa quello che doveva fare, / mi chiede / quello che solo a me / poteva domandare.

 
 
 
 
 
 
Migole
 
L’è chel sintis vardat
che dà fastide,
che rend compagn de migole
postade söl bec
de che j öcc.
 
 

Briciole
È quel sentirsi guardato / che dà fastidio, / che rende come briciole / poggiate sul becco / di quegli occhi.

 
 
 
 
 
 
Pensat
 
Pensat Signur
e nel pensat vidit tremà
prope come me;
vardat tacat vià
e capì ‘l Tò tremà;
la stessa pora t’è stat dat,
chela pora dada a j òm
che adès nel Tò tremà
ta sét dre turna a salvà.
 
 

Pensarti
Pensarti Signore / e nel pensarti vederti tremare / proprio come me; / guardarti appeso / e capire il Tuo tremare; / la stessa paura ti è stata data, / quella paura data agli uomini / che adesso nel Tuo tremare / stai ancora salvando.

 
 
 
 
 
 
Entrec
 
Nel me tremà
entrec so restat
e me dà forsa saì
che chel che gh’ó cridit
adès ghe l’hó visì,
tat visì
da tremà
perchè ‘l s’è ligat
ai me dicc.
 
 

Intero
Nel mio tremare / intero sono rimasto / e mi dà forza sapere / che quello che ho creduto / adesso ce l’ho vicino, / tanto vicino / da tremare / perché si è legato / alle mie dita.