Tenere insieme su Pangea

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da Pangea

 

È recentemente apparsa, per i tipi di Samuele Editore, Tenere insieme, la raccolta poetica di Gabriel Del Sarto che presenta in forma definitiva il corpus essenziale della sua opera in versi. Tenere insieme: un titolo che è in primis promessa di autentico viaggio di poesia, perché in questo libro di Del Sarto, come raramente accade, è una voce quanto mai nitida e vigilata a parlarci del mondo, seppure da un crinale in cui la parola frana e sconfina oltre il reale. Una voce che, pur trascinandosi via dalla storia, inseguendo le tracce solari dell’ispirazione, discopre barlumi di senso nel tempo presente grazie a un linguaggio millimetrico e cosmico, fermo e visionario al contempo – nel tentativo di tenere insieme tutto, terra e cielo, alberi e fiumi, materia e antimateria, galassie e buchi neri, bestemmia e preghiera. V’è poi l’angelo – figura iniziatica che soccorre e inquieta, di chiara ascendenza biblica – ad attraversare ogni pagina di questo canzoniere-resoconto di mezzo secolo di vita: messaggero degli spazi siderali, egli sospinge gli occhi al di là del conoscibile, interroga il regno dei morti, spalanca porte luminose nel buio dell’ignoranza in cui siamo tutti immersi, e forse indica la rotta esatta del poetare, tra le sillabe del silenzio, nel regno invisibile. Si è giustamente parlato della poesia di Del Sarto come «un atto di annunciazione»: gli ho rivolto qualche domanda sulla sua ricerca letteraria che, in accordo con quanto espresso dalla critica, considero «un’esperienza di scrittura tra le più significative della propria generazione poetica, fra tradizione di fine Novecento e nuova parola del nuovo millennio».

 

Partiamo dall’arcangelo che annuncia, Gabriel. Per te, mi pare di aver capito, non è soltanto un nome – il tuo, tra l’altro – ma una specie di alter ego poetico, di personaggio metafisico attorno a cui ruota tutta la poesia che hai scritto fino ad ora. Chi è in verità questo Gabriel? 

Questa è una domanda molto personale. Gabriel è stato prima di tutto una sorta di visione. Probabilmente influenzato dal metodo degli esercizi di Ignazio che praticavo in quegli anni giovanili, “vedere” era il mio canale di accesso privilegiato al mondo interiore che possiamo chiamare spiritualità o religiosità. Gabriel è quindi un personaggio che, per quanto abbia un’evidente origine biografica, compare, sin dal testo di apertura, con una sua personalità ben distinta, proveniente da una dimensione esterna alla cronaca. Una dimensione in cui teologia, letteratura e pensiero iniziatico si intrecciano, mescolando le vicissitudini, lo spazio e il tempo, a tal punto che non è semplice per me ormai riconoscere, a distanza di anni, i testi nati dentro la pura storia personale (il piano della mia autobiografia) dagli altri, quelli che, sebbene vi sia sempre un “io”, non parlano propriamente della (e dalla) mia esistenza nuda. L’apparizione, mi si passi l’espressione, risale al natale del 1996. Anni dopo, mentre lavoravo a quel breve poemetto che uscì col titolo di Meridiano Ovest, quella visione mi si precisò (il poemetto si chiude infatti con l’immagine di Gabriel che «annuncia qualcosa piangendo/ alla polvere che si leva ai lati del viale/ in una fiamma improvvisa, ossidrica»), e così compresi meglio il progetto di libro che stavo scrivendo. In quel momento immaginai la trilogia che solo quest’anno è stata pubblicata col titolo Tenere insiemeMa Gabriel è ovviamente qualcosa d’altro: un alter ego, un personaggio la cui voce mi ha, talvolta, letteralmente dettato dei versi o, spesso, suggerito immagini e ambienti. Gabriel è anche un nome denso di letteratura, dall’antichità ebraica fino al Novecento di Joyce. Le mie prime tre raccolte, in un modo che non mi è però del tutto chiaro, si possono definire il libro di questo Gabriel polimorfo.

Intervista a cura di Francesco Occhetto

 

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