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Spolia (vol. I) di Federico Rossignoli

Samuele Editore, 2015 – Elegante e melodioso, Rossignoli ci ricorda che siamo la presenza scenica di drammi senza tempo, addensati nei nostri vissuti.

Spolia (vol. I)

Quasi sempre è un poeta il più sodale con un altro poeta, il miglior critico come lo fu Ezra Pound per Eliot. E qui in Spolia (vol. I)(Samuele Editore, 2015, pp. 54), liriche di Federico Rossignoli, è Sandro Pecchiari, egli stesso poeta, a scrivere la prefazione (con traduzione in inglese anche dei testi) di questo volumetto che, lungi dall’essere spoglio, è esuberante, ricchissimo di riferimenti, di echi provenienti dai miti appartenenti a svariati popoli, con rimandi all’antico per comprendere meglio il moderno.

La voce poetica che sgorga da una fonte vicinissima, dai nostri giorni inquieti, proviene dal lontanissimo, sedimentata dai millenni, da immagini strappate (necessità di carpere, cogliere, dice l’esergo della collana di Paolo Ruffilli), sradicate. Sono poesie d’amore dove centrale è la figura femminile declinata nelle varie sfaccettature dell’esperienza amorosa, ma, sebbene in minoranza, troviamo anche ritratti maschili paradigmatici, Eracle e Filottete, l’eroe ferito e confinato, simbolo di ogni cattività ed esclusione.
Perché scomodare i miti? Pecchiari afferma:

“I miti trattati in questa prima parte possono facilmente riferirsi a difficoltà e problemi sociali che non sono stati ancora risolti: l’insorgenza dell’istinto mitologico si è rafforzato nel nostro tempo parallelamente al corto circuito dei rapporti sociali, al loro venir meno e a volte perdersi completamente. Lasciando riaffiorare così parti
oscure non facilmente controllabili”.

Possiamo senza dubbio acconsentire, la privazione porta sempre a un recupero provvidenziale che scaturisce per reazione, ma bisogna sottolineare che il mito è la rappresentazione universale di contenuti psichici e ha sempre accompagnato tutte le fasi espressive della civiltà e della protostoria. Il mito, l’immagine, precede il logos, la scrittura, ed è l’origine della poesia, della creatività. Quando scompare, come accade nel pensiero esclusivamente positivista, squilibrato, è necessaria la presenza di un poeta per ristabilire l’equilibrio, sia esso sociale o individuale.
Ben venga dunque Rossignoli, elegante e melodioso come un madrigale, a ricordare che siamo la presenza scenica di drammi senza tempo, addensati nei nostri vissuti.
Sfogliando l’album qui proposto troviamo la purezza verginale di Cecilia Gonzaga, a cui è concesso avvicinare l’unicorno; la violenza astuta e conturbante di Zeus, tipica di ogni seduttore, trasmutato in cigno, su Leda:

“bello è il proprio seno che riluce dell’estate / nudi i piedi esili piegano i canneti”.

Graziella Atzori

 

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