Nerotonia – Blurb

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Come è possibile ritrovare in uno stesso testo Shakespeare e passi del Macbeth, ma anche Dante e i futuristi, il corvo di Poe e la terra desolata di Eliot, e poi gli dei greci, le ninfe e le nereidi, ma anche passi della Bibbia e il cinema western e quello di fantascienza, con passaggi di logica e vari e sostanziosi calembour? Tutto ciò è possibile se si legge Nerotonia, la silloge di Rossella Pretto. Il vorticoso mulinello degli attanti là sotto produce un altrettanto vortice attoriale in superficie. Chi parla? Lady Macbeth? Il suo inconscio? Rossella Pretto? Il lettore con le sue spinte interpretative? Di chi sono quei pensieri sviscerati e trasposti in verbi e nomi? Di tutti noi, di ciascuno di noi, verrebbe da dire. Di certo la lettura di Nerotonia è una esperienza che in qualche modo smembra poiché permette, al contempo, una lettura che raccoglie e che distoglie.

Mauro Ferraresi

 

Nerotonia è l’apertura di un sipario che svela una profonda ricerca esistenziale, tra echi ingombranti del passato e voci pulsanti del presente; è il grido di un’anima in cammino verso agognate altezze spirituali, accarezzando i solchi di un volto che ha deposto ogni maschera per guardare in faccia alla verità. “Io sono bella quando voglio”, direbbe Eleonora Duse.

Maria Pia Pagani

 

 

Ci sono intuizioni importanti in Nerotonia: tutto il lavoro sull’interiorità; una pronuncia che ricrea la perfettam dimensione dell’oralità nello scritto; il modo di dare fisicità a concetti e figure astratte senza snaturare la loro origine in una descrizione, in una mimesi, in una minimalismo. Suona tutto ore rotundo, come appoggiare l’orecchio su una conchiglia e accorgersi di averla appoggiata su un petto vivo.

Maria Borio

 

Quella di Rossella Pretto è una scrittura ardente, piena di coraggio e intenzioni, lontana dai minimalismi che vanno tanto di moda. Non posso che ammirare la consapevolezza letteraria e stilistica, lo slancio così personale di un’autrice che senz’altro sa distinguersi.

Mia Lecomte

 

In Nerotonia Rossella Pretto sceglie la strada del dialogismo per lasciar affiorare e scomporre il dolore denso del nostro percorso terreno e l’intensità delle emozioni che lo attraversano quotidianamente. La moltiplicazione delle voci disegna un verso che è subito duplice. Le strutture sulla destra della pagina si articolano musicalmente come contrappunto ai versi che aprono sulla sinistra e lasciano emergere fin dalla geografia testuale quello che è il carattere primo della parola poetica: la sua complessità, l’abilità di racchiudere nello spazio lirico un orizzonte multiplo e collettivo.  Attraverso un linguaggio intensamente metaforico e intertestuale Pretto offre dunque un’ipotesi, una possibile traiettoria per illuminare un percorso profondamente comune.

Alice Loda

 

La voce delle donne è da sempre in discussione: è impercettibile o assordante, inascoltata o condizionata; dalle sirene dell’Odissea ai grandi classici della letteratura mondiale è uscita dallo spazio circoscritto per dialogare con la società, tuttavia spesso annientata dal pensiero maschile. Negli anni della rivoluzione femminista del #metoo, Rossella Pretto ripropone Lady Macbeth, la tragedia shakespeariana più corta, donando finalmente una voce al femminile alla protagonista: da ascoltare con il volume alto.

Francesca Calamita

 

Che cosa nascondono gli abissi dell’anima? Li si può sondare? Rossella Pretto risponde a questi interrogativi dando forma ad un componimento in cui la Lady Macbeth di Shakespeare si muta in interlocutrice ideale, in una sorta di specchio in cui si riflettono le insonni contraddizioni del mondo in cui viviamo e i lineamenti di una donna che interroga e si interroga. Lo stile eclettico, sempre sorvegliato, alto e al tempo stesso humilis, si nutre di voci antiche e moderne (il grande drammaturgo elisabettiano, ma anche T.S. Eliot, Virginia Woolf, Samuel Beckett, Sylvia Plath e altri) e di metafore dense, che nella loro suggestiva tessitura ambiscono a cogliere le strutture più profonde dell’io.

Stefano Manferlotti

 

Nerotonia accede al cuore della tragedia Shakespeariana più direttamente di quanto non riescano a farlo rappresentazioni teatrali che sembrano, solo all’apparenza, più fedeli all’originale. La forma polifonica della silloge, la decostruzione delle parole in suoni e della soggettività in frammenti di coscienza catturano molto più efficacemente l’intuizione di Shakespeare, che trasformò un capitolo della storia scozzese dell’undicesimo secolo, dominato dall’ambizione, dalla violenza e dalla superstizione, in una tragedia dove ‘niente è se non ciò che non è’, dove la vita è ombra, e dove il significato si riduce ad urla e furore, che, alla fine, non significano nulla. L’io-non-io di Rossella Pretto evoca, come le litanie delle streghe, un personare che, non riducibile a personaggio, per-suona, ovvero parla attraverso ‘storie quasi tutte non sue’, come, in fondo, faceva anche Shakespeare.

Sonia Massai