Nella consuetudine del tempo su alleo.it

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Luisa Delle Vedove, Nella consuetudine del tempo, Samuele Editore 2021, pag. 78, € 12,00

 

 da Alleo.it

 

C’è una casa che “rimane solida/ da più di cent’anni” e mani che si attardano sul cancello, lo sguardo che va oltre mentre scorrono memorie. Torna l’infanzia dalle “ombre corte e audaci”, col calore dell’ora meridiana, con “quel sentirsi subito vivi”, invece ora le ombre sono lunghe, la casa è fredda “nel nord assoluto/che la tiene”.
Casa come qualcosa che ancora vive, a cui si sente di appartenere – “la casa che mi ha” – tuttavia  “denutrita” come tutte le case non vissute, vuote, dove è padrone il buio.
E’ stata casa di presenze e di vita e lo ripete ancora il vento: “il vento/dei cieli chiari di settembre/ha voci di neve/dicono madre ancora/ e in quel nominare/la fine di qualcosa”.
Casa-madre che compare avvolta in un paesaggio innevato divenuto culla protettrice, nel continuo accadere della vita dove tutto si tramuta: anche se si è sulla scena, forse quello non è più lo stesso paesaggio della memoria.

Luci e buio si contrappongono nei versi di Luisa Delle Vedove, essenziali, puliti, evocativi. Tornano le albe innevate, albe “intraducibili”, meravigliose da mozzare il respiro; torna la dolcezza delle sere invernali, quando la sera è  madre che cura perché “mi riprendeva dal giorno per qualcosa/in cui fiorivo inconsapevole”, quando giochi e spazi si dilatavano agli occhi fanciulli: “i pochi giochi dell’infanzia che riscaldano l’angolo”.
La vita si contrapporre alla morte tanto che la bellezza e la luce sembrano un insulto “dentro qui…dove niente/nasconde per certo la morte”.
Se “la sera nel dopo si posa/ e il silenzio alla sua ultima riva” – sera a tramonto sono sempre usati nel loro significato simbolico – “c’è come un pulsare d’eterno/in questo tacere delle cose”.

Il vento – e qui non si può non pensare a Luzi – è una costante per Luisa Delle Vedove, vento che muove memorie e solitudini, che ha “suoni erosi”, vento nudo che soffia sui picchi di roccia, che contiene la presenza del divino: “l’aria è ampia/piena di stelle/le ultime mani tremule/ sulle betulle/ e il vento/ il vento…”
Se morire è un “dissolversi lento in polvere e suono”, può essere persino dolce andarsene nel freddo che attanaglia i pioppi e il gemito del fiume, perché noi siamo  – dicono i versi della poetessa – “qualche movimento verso il dopo” e conteniamo la morte.
Le immagini della svuotarsi di una vita, del suo sciogliersi come “un rosso diluito nell’acqua”, del momento in cui ci si arrende allo sfinimento e si recide il legame con il di qua, per riallacciare il legame con chi se ne è già andato, “quando l’amore []la divideva dall’amore”, aprono ad una riflessione su quel transito verso un silenzio simile al prenatale: “gesto infinito di silenzio in silenzio”.

Marisa Cecchetti

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