Matteo Piergigli su Laboratori Poesia, editi e inediti

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da Laboratori Poesia
 
 

Matteo Piergigli realizza, in questi brevi inediti, un interessante parallelismo tra dissesto esistenziale, perdita di referenti e percezione del vuoto, da una parte, e massificazione della produzione e nevrosi collettiva nella società del consumo, dall’altra.

Ciò che accomuna questi testi, infatti, è proprio lo scivolare da un dettato che, in prima battuta, appare riferirsi a questioni relative all’individuo, nella sua percezione dei valori, del mondo, dell’altro, per poi dissolversi contro la quotidianità del meccanismo consumistico, disumanizzante, che esaspera la condizione di insofferenza percepita dall’io lirico.

E così, nella percezione che “qualcosa frantuma … annoda e scioglie / avvolge e precipita” il riscontro esterno è assolutamente avvilente per la figura umana, isolata, che si concreta in “gocce di consegne / a domicilio”; l’io (relegato tra parentesi) è “dove tutto / si annulla” e ogni riflessione, negativa o positiva che sia (“l’apologia / diventa scusa”) serve soltanto a distrarsi, a riempire il vuoto relazionale e di valori con un “essere” feticcio, falsificato, ma – anche – attraverso l’ambivalenza dell’inarcatura, con l’ “essere / addetto alle consegne”, ruolo al contempo seriale, disumano ed essenziale nella società del nostro tempo.

Ed ecco che Piergigli espone questi “presunti valori / confezionati”, prodotti in massa come ogni altro bene di consumo, “reclamizzato apparente”, un placebo con cui allontanarsi temporaneamente dalla ferita – senza tentarne mai davvero un superamento – il cui “imballaggio vario a perdere” sembra evidenziare le criticità originarie, le “questioni di vuoto”.

Qualche anno fa, parlando de La densità del vuoto, dello stesso autore (QUI, anche una recensione di Federico Migliorati QUI, con inoltre un interessante esperimento di variazioni QUI), edito da Samuele Editore nel 2019, evidenziavo come Piergigli trattasse “uno stato di logorante isolamento relazionale e comunicativo”, dove il vuoto era in prima istanza denuncia di un’alternativa possibile da perseguire, per non soccombere a una disumanizzazione completa e fatale: in questi testi, l’autore sembra proseguire il proprio percorso, estendendo tali fenomeni a una dimensione più ampia, che coinvolge l’intera società contemporanea, in particolar modo mettendo a nudo la sterilità dei meccanismi consumistici e massificati – che portano a un’aberrante perdita di valore delle cose, delle relazioni e del sé.

Tale raffigurazione non può che sottintendere una volontà di scuotere la coscienza del lettore a prendere posizione, a riconoscere i rischi di tali derive, per tentare – o quanto meno ipotizzare – un recupero di un possibile contatto umano come prospettiva di senso e di direzione, per quanto il testo appaia rassegnato e disperante, nella sua esposizione senza particolari slanci – anzi – proprio per questo sembra incitare a una ferma opposizione.

 

Mario Famularo

 
 
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