L’ospite perfetta – Alessandro Agostinelli

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L’ospite perfetta
Sonetti italiani

Alessandro Agostinelli
Pagine 58
Prezzo 12 euro
ISBN 978-88-94944-24-2
 
 


 
 
Versione online Sbac!
Prezzo 4 euro


 
 

Il carnevale è il tempo del rovesciamento delle consuetudini, delle trasgressioni consentite, della vittoria dell’irrazionalità contro i vincoli della ragione. Questo nostro tempo, reale e insieme inimmaginabile, è una sorta di rovesciamento del carnevale: ora ci pare che fosse folle e vitale quanto facevamo prima della pandemia, mentre cogliamo in questo momento l’effettivo manifestarsi del vuoto, del blocco totale, dell’entropia che sta dentro l’affannarci quotidiano nelle società del capitalismo avanzato. Se si ferma il processo ‘normale’ della produzione, restiamo privi di tutto.

Certo, la lettura, la visione in streaming di un evento, le mostre virtuali sembrano poter sopperire al vuoto, sembrano farci vivere all’esterno della nostra stanza, ma purtroppo percepiamo alla lunga pure i limiti del bello fine a sé stesso, dell’estetica che avevamo ormai associata a un altro tipo di produzione senza cercarla per conto nostro, per un nostro bisogno: perché un’arte che non sia anche un bisogno, di chi la crea e di chi la fruisce, una risposta a una necessità biologico-cognitiva perenne, è forse soprattutto intrattenimento o forse divertissement, come avrebbe detto Pascal.

Comunque, l’arte autentica conduce all’attenzione, attraverso lo stile veicola ‘nuclei di senso’ che dobbiamo cogliere: l’arte ora deve spingerci ad astrarci dal vuoto per capire il senso di questo vuoto. I mezzi per farlo possono essere tanti. A un carnevale rovesciato si può rispondere con la parodia, il controcanto rispetto a modelli illustri. In genere, la parodia ha soprattutto lo scopo di mettere alla berlina le verità assolute o presunte tali, ma può benissimo voler solo suscitare il riso, segno comunque di una consapevolezza: le parole già dette possono essere ridette, tornando in gioco, evitando appunto la sclerotizzazione e la stasi.

Alberto Casadei

 
 
 
 
Cecco Angiolieri, Sonetto LXXXVI
 
S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;
 
s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,
ché tutti cristiani imbrigherei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.
 
S’i’ fosse morte andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre.
 
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.

 
 
 
 
Cecco-ronavirus
 
S’i fosse virus invaderei lo mondo
S’i fosse medico mi toccherei
S’i fosse ‘n quarantena impazzirei
S’i fosse Johnson manderei ‘n profondo.
 
S’i fosse Trump mi farei un po’ tondo
Ché l’americani non intorterei,
S’i fosse ‘l gran cinese sì te lo direi:
T’ho messo sotto con lo capo a fondo.
 
S’i fosse morte andarei da Erdogan
S’i fosse vita a Upolu da Lui
A fare omaggio alla Sua Immensità.
 
S’i fosse Ale, com’i’ sono e fui
Berrei il gin tonic di gran qualità
E i brutti libri lassarei altrui.
 
 
 
 
 
 
Guido Cavalcanti, Rime XIII (XII)
 
Voi che per li occhi mi passaste ‘l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.
 
è vèn tagliando di sì gran valore,
che’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.
 
Questa vertù d’amor che m’ha disfatto
da’ vostr’occhi gentil’ presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.
 
Sì giunse ritto ‘l colpo al primo tratto,
che l’anima tremando si riscosse
veggendo morto ‘l cor nel lato manco.
 
 
 
 
Cavalc-oronavirus
 
Voi che il virus mi passaste in zona
E svegliaste in me la malattia
Guardate a l’angosciata vita mia
Che ansimando la spacca Corona.
 
Egli vièn tagliando a sì gran forza,
che indebolisce i polmoni e via
resta il respiro imbrigliato in scia
che par rimasto stretto in una morsa.
 
L’epidemia cinese che mi scosse,
Da voi che in cura presto mi prendeste
Minuscolo bastardo mi fu addosso.
 
E giunse dritto quel colpo di tosse
Dal pipistrello uscito da foreste
Che il risultato mi infilò in un fosso.
 
 
 
 
 
 
Francesco Petrarca, Canzoniere XXXV
 
Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.
 
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché ne gli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi;
 
sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
 
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui

 
 
 
 
Petrarc-oronavirus
 
Solo e malato più deserte vie
Vo’ camminando co‘ a scoassa in mano
In cerca di un bidone vuoto invano
Poiché gli humani fanno azioni rie.
 
Sono obbligato a casa dalle arpie
Manifestate leggi del sultano
Che cerca il modo di salvar Milano
Dagli italiani in vena di follie.
 
Così che fuggo alle mie amate spiagge
Per isolarmi dal baccano altrui
Cercando un modo per scamparla ancora
 
Eppur ‘l virus le rende selvagge
Queste mie cellule dei tempi bui
Che ‘ntorno a me morte si fa signora.