Le svelte radici su SoloLibri.net

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Bello l’ossimoro regalato nel titolo della raccolta Le svelte radici, liriche di Sandro Pecchiari (Samuele editore, 2013). Ciò che è radicato per sua natura è inamovibile, mentre ciò che è svelto si muove e trascorre, in modo ferreo ci saluta, spogliandoci, e non rassicura sull’esserci, men che meno sull’avere.

Tutte le poesie di Pecchiari affrontano tale dicotomia, scelta come punto di partenza, consapevolezza-luce del suo viaggio sia geografico attraverso popoli e latitudini, sia metafora dell’andare interiore tra ricordi, lacerti e meditate visioni. È pure punto di arrivo in un oltre misterioso. Oltre ogni dualismo, oltre le contraddizioni apparenti, in una sofferta ricomposizione psichica e spirituale, trovata e posta sapientemente a chiusa:

Oltre oltre ancora trova altre vie efficaci. / Non c’è alcun rifugio né armatura. / Sei nudo, bello, solo e sei tutto finora / finalmente tuo“.

La poetica del viaggio ha inizio dai panorami conosciuti, dal nostro mare triestino (“Noi viviamo sopra un mare che schiaffeggia“), per condurci a contemplare la laguna gradese, terra che non è solo terra e mare non solo mare, simbolo di ogni contraddizione, dove si vive, si perde e si saluta l’amore, “quel nostro sghembo complice sorriso”, abbandonato di fronte a due tazzine di caffè, profumato al cardamomo.

Pecchiari non ama la riproduzione banale del contingente, teso com’è verso l’essenziale, ma qui si sofferma nel particolare, in una scena che riassume un intero universo, pronto a sgretolarsi. Quasi a sancire, in un’immagine realistica, la difficoltà dell’andare, così ben sottolineata nel titolo della prima sezione, o tappa: Un prudente distacco, dove l’aggettivo prudente suona dolente. Ma già nella seconda sezione il distacco si fa più certo, e necessario, come necessario è lo sguardo dall’alto, da una terrazza dalle quale il golfo ridisegna se stesso “rispiegando Horus, le sue ali, / rendendone immortale l’emozione”. Si accresce la consapevolezza di un soffio-ricordo eterno, si impara che De rerum natura – tale il titolo del secondo gruppo di liriche -, nelle cose di natura si annida un riposto senso, visto magari dalla corsa di un treno.

Graziella Atzori

 
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