In Camera Caritatis – Rachel Slade

  • Tempo di lettura:10 minuti di lettura


 

IN CAMERA CARITATIS

Installazione di Rachel Slade

 

Inaugurazione 1 giugno
ore 10:00

Chiesetta di Santa Cecilia, Spilimbergo (Pn)

 
 

La Chiesetta di Santa Cecilia di Spilimbergo è documentata fin dal 3 dicembre 1271 (13 anni prima della costruzione del Duomo) ma la sua costruzione pare risalga al 900 d.C. Piccolo edificio ad aula rettangolare (un tempo absidata) presenta una porta d’ingresso del 1506 di semplicissima fattura e all’interno alcuni affreschi trecenteschi le cui tracce affiorano tra gli intonaci restaurati di recente. Ci sono una Madonna con Bambino, Santa Maria Maddalena, Santa Cecilia, l’Annunciazione e altri ornamenti. La Pala di Santa Cecilia è opera di Gasparo Narvesa ed è datata 1595. Attorno al 1500 la chiesa, perduta la sua funzione, venne adibita a cella mortuaria e ne venne demolita l’abside. Il campanile venne abbattuto invece nella seconda metà dell’Ottocento. L’intera chiesetta fu ristrutturata alla fine degli anni ’70 e attualmente è utilizzata per eventi culturali. A lato della Chiesetta e dietro il Duomo un parco che guarda il Castello.

 

Santa Cecilia – interno

 

All’interno della Chiesetta verrà allestita l’installazione dell’artista Rachel Slade dal titolo In Camera Caritatis che, in linea con l’ambiente scelto, proporrà un’elaborazione artistica del concetto di Tzimtzum ebraico attraverso un gruppo di 108 pezzi composti da varie tipologie di gesso (marmo, ceramica, etc) racchiusi in strisce di stoffa e modellati in forme contorte, ritratte su se stesse, per uno spazio aperto alla ricerca di sé e della propria naturalità. Lo Tzimtzum è un concetto ebraico che vede la creazione dell’esistente come ritrazione di Dio e allo stesso tempo come presenza di Dio in tutto. Paradosso che entra nella prospettiva artistica come proposta di una maggiore ricerca, comunicazione e allineamento con la natura dell’uomo e del mondo in cui vive.

L’installazione prende il nome dalla nota locuzione latina In camera caritatis. Tale locuzione ha il significato letterale di nella camera della carità, dell’amore, e oppone due termini di senso opposto. La camera è il luogo dove si esercita il potere, mentre la caritas è l’amore che si oppone al rigore della legge, da questo il significato odierno di “dire qualcosa in in segreto”. In tale direzione l’opera della Slade si pone come una critica all’uomo contemporaneo e come dialogo diretto con il fruitore al quale viene chiesto di ascoltare, in un luogo isolato e silenzioso (la camera), un messaggio umano e preverbale di riconciliazione, di riscoperta (la caritas). Un percorso iniziato nella precedente mostra personale Devota come un ramo, 2018, e che qui evolve in un’esperienza esterna al gridato frastuono del mondo e dentro una silenziosa sacralità tesa allo svelamento dell’anatomia più profonda del proprio essere.

 


 
 
Rachel Slade

Rachel Slade è nata a Putnam nel Connecticut (USA), vive in Italia dal 2002. La sua attività principale si sviluppa attorno alla pittura. Le sue mostre più recenti sono Citizen Ship (Villa Corrier-Dolfin, Porcia PN, 2014, con presentazione di Alessandra Santin), Crambe Tataria (Villa Cattaneo, San Quirino PN, 2015, con presentazione di Carlo Vidoni), Ephemeral (Teatro Russolo, Portogruaro Ve 2015, in occasione dello spettacolo Cenerentola di Sergei Prokofiev), La casa apocrifa (Cantine Collalto, Susegana Tv 2016, con presentazione di Alessandro Canzian), Devota come un ramo (Sala Liberamente, Maniago, Pn 2018, con presentazione di Carlo Fontanella e Carlo Vidoni), In Camera Caritatis (Chiesetta di Santa Cecilia, Spilimbergo, Pn 2019). Per la Samuele Editore ha curato la presentazione di alcuni poeti al New York City Poetry Festival del 2014 e diverse copertine della collana Scilla (tra le ultime: Periferie/The Bliss of Hush and Wires di Ilaria Boffa e Nuviçute mê e sûr di Stefano Montello). Come poetessa ha partecipato a diversi eventi letterari: Residenze Estive (Trieste), I poeti scalzi (Venezia), Poeti alla Baschiera (Pordenone), Callisto (Venezia). Nel 2016 ha pubblicato la plaquette di poesie e disegni Apocryphal House / La casa apocrifa (Samuele Editore) e nel 2019 è stata inserita nel progetto Transnational Italian Poetry (a cura di Simona Wright – College of New Jersey, e Alessandro Canzian – Samuele Editore) pubblicato nella rivista universitaria statunitense NeMLA. Nel 2018 vince il Premio Ossi di Seppia per la poesia. Nel 2019 viene accettata al Lodestar Residency for Art in Ireland (residenza artistica irlandese).

 
 


 
 
Un articolo in anteprima su In Camera Caritatis:
da Arte Magazine e Eroica Fenice
 
 

Una delle caratteristiche predominanti degli ultimi decenni è la velocità. Se all’inizio del ‘900 i futuristi l’avevano identificata come necessaria inserendola nelle loro istanze, pochi decenni dopo l’artista si trova a dover affrontare le conseguenze del suo eccesso date dalle nuove tecnologie e modalità di comunicazione. Concetti come “obsolescenza programmata”, “non luogo” (Augé 1992), “modernità liquida” (Bauman 2000) con la successiva definizione di “amore liquido” (sempre Bauman 2003) e “tecnoliquidità” (Cantelmi 2013), sono ormai di dominio pubblico come evoluzioni (o involuzioni) antropologiche già accadute.

L’avvento dei social media e in particolare di Facebook (2004) ha significativamente contribuito a produrre, come effetto della maggiore libertà di comunicazione e interconnessione (private di un paracadute culturale che ne avrebbe permesso la sostenibilità), una semplificazione e un’accelerazione delle relazioni umane che hanno iniziato a soffrire un’obsolescenza programmata (facilitata dalla virtualità poi somatizzata nel piano della realtà). L’uomo è diventato un prodotto e ha iniziato a subirne gli esiti. Ciò che era un modello di marketing (si pensi ad esempio a Gmail, servizio gratuito dove ciò che viene venduto siamo noi in quanto clienti targettizzati) è diventato un modello comportamentale, di relazione. L’altro è un mio prodotto e lo uso in accordo con l’esigenza dell’attuale modello di marketing di upgrade, di cambio continuo. E io sono un prodotto dell’altro all’interno però di una contraddizione: l’accetto come tale ma io non accetto d’essere tale. Ma cos’è una relazione umana se non una sintesi del proprio stare al mondo? Una consapevolezza?

Se il non luogo, nella definizione di Augé, è uno spazio non identitario, privo di storia, di relazione, ed è il rapporto che si instaura con esso, possiamo ben dire che l’uomo/prodotto è a tutti gli effetti diventato il non luogo di sé. In questo l’identità si è trasformata in un punto d’arrivo ipoteticamente raggiungibile solo attraverso eccessi emozionali autoalimentanti quali l’aggressività, l’iperstima di se stessi, la chiusura in una propria cerchia (emblematico l’algoritmo di Facebook che propone solo quanto inerente i propri interessi). Di conseguenza si è arrivati a un’iper-frammentazione della realtà e dell’essere umano che, per poter essere compresa e comprendersi, ha dovuto osservare solo i “pezzi più evidenti” isolandoli a scapito della totalità, del contesto, e di una durevolezza della realtà medesima. Si ricordi ad esempio il caso della fotografia scattata da Nilüfer Demir al bambino morto sulla spiaggia nel 2015 (Alan Kurdi) e allo tsunami emozionale derivatone. Il bambino è diventato un’immagine lontana dalla sua stessa natura di bambino, quindi è stato dimenticato. Anche quel bambino, o meglio l’immagine di quel bambino, era semplicemente un prodotto da utilizzare per un determinato e limitato periodo di tempo.

Ma la realtà come è diventata oggi la possiamo paragonare a un cubo di Rubik: quando la osserviamo vediamo solo tanti colori sconnessi, una frammentazione. L’approccio col cubo è fonte di frustrazione e disorientamento perché necessitiamo di una soluzione veloce, immediata, che il cubo respinge. Ma allo stesso tempo quel disordine ha in sé la risposta – è stimolo e desiderio di armonizzare, ordinare i colori. La soluzione è possibile in virtù della destrutturazione delle facce e in virtù della relazione che si instaura (e qui torna prepotentemente Augé) con il cubo. Il paradosso del cubo di Rubik è la coesistenza di ordine e disordine in virtù di un’intenzione. E tale intenzione è un’identità, ed è la possibilità dell’artista stesso… che non è mai una possibilità esclusivamente personale ma rappresenta un assunto, più o meno consapevole, della società in cui nasce.

In questa direzione e in queste premesse si inserisce l’artista statunitense Rachel Slade. Figlia del pittore Duncan Slade, nasce a Putnam, nel Connecticut (USA), e vive in Italia dal 2002. Le sue mostre più recenti sono “Citizen Ship”(Villa Corrier-Dolfin, Porcia Pn, 2014), “Crambe Tataria” (Villa Cattaneo, San Quirino Pn, 2015), “Ephemeral” (Teatro Russolo, Portogruaro Ve, 2015), “La casa apocrifa” (Cantine Collalto, Susegana Tv, 2016), “Devota come un ramo” (Sala Liberamente, Maniago Pn, 2018), “In Camera Caritatis” (Chiesetta di Santa Cecilia, Spilimbergo Pn, 2019). Artista dedita anche alla poesia ha curato la presentazione di alcuni autori della Samuele Editore al New York City Poetry Festival del 2014 e diverse copertine di libri. Ha partecipato a eventi letterari quali “Residenze Estive” (Trieste), “I poeti scalzi” (Venezia), “Poeti alla Baschiera” (Pordenone), “Callisto” (Venezia), “Una Scontrosa Grazia” (Trieste), “Le notti del mito” (Roma). Ha pubblicato la plaquette di poesie e disegni “Apocryphal House / La casa apocrifa” (Samuele Editore 2016) e nel 2018 ha vinto il Premio Ossi di Seppia per la poesia.

La ricerca artistica della Slade si svolge e matura negli anni attraverso dei focus su tematiche ben precise: l’appartenenza (in “Citizen Ship”), il paesaggio (in “Crambe Tataria”, con particolare riferimento ai magredi friulani), la transitorietà (in “Ephemeral”), la casa (in “La casa apocrifa”), il sacro (in “Devota come un ramo”) fino agli epigoni di “In Camera Caritatis” (ancora in essere, la mostra sarà inaugurata il 1 giugno) che esplorano il concetto della creazione come contrazione (di matrice ebraica).

Alessandro Canzian

 
 
Continua su Arte Magazine e su Eroica Fenice
 
 


 
 

L’installazione In Camera Caritatis di Rachel Slade verrà inaugurata il 1 giugno alle ore 10.30 all’interno della Chiesetta di Santa Cecilia a Spilimbergo, in piazza Duomo, in occasione del Festival artistico/letterario Panorami Poetici (per la direzione artistica di Alessandro Canzian, in collaborazione con la Samuele Editore e la Pro Spilimbergo). La mostra avrà la durata di due settimane e sarà visitabile, oltre la giornata d’inaugurazione, su appuntamento al 3341842353.