Discorso ai batteri su Laboratori Poesia

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da Laboratori Poesia
 
 
 
 

Discorso ai batteri, Leonardo Vilei (Samuele Editore-Pordenonelegge, 2021, Collana Gialla).

Quello che un libro dovrebbe fare è coinvolgerci nell’idea di un mondo concepito dalla mente e incarnato nelle forme. In questo senso, Discorso ai batteri ci spinge in un tempo che il nostro sguardo può solo intuire, e nel procedere dei versi si fa largo, per sequenze, il costituirsi della vita, disparato e percorso dal consistere delle sue forme in un comune flusso, fino all’apparire di noi, animali parlanti, mimetici predatori. Il tema di per sé gode di interesse e consenso, se consideriamo quanto sta accadendo nei recenti studi antropologici e biologici. Basti pensare al prospettivismo, che non teme di comparare la soggettività di uomini e animali, o alla splendida serie Animalia di Adelphi, che indaga le specie per scoprirne, per esempio, i legami con il sorgere della coscienza dell’uomo. Da alcuni anni la poesia intercetta questi temi, inoltrandosi più in là del pietoso sguardo verso l’universo animale o della percezione trascendentale del paesaggio (si pensi a Ferrari, Zanzotto, De Alberti).

Nelle pagine di Vilei si innescano i processi che scatenano la vita sin nelle sue forme elementari, dopo averci dolcemente scaraventato indietro di miliardi di anni, nel mezzo di cicli di reazioni, clorofilla, alghe, archeobatteri. Nel mostrarci questa materia incandescente, le incursioni nel linguaggio scientifico si accompagnano sempre all’ironia, che coglie il vivente con vena metaforica. Forse non può far altro, visto che la metafora è il nostro modo di concepire la relazione con l’ambiente. Così, questo canto remoto che avanza, mentre osserva, si stupisce, come solo la poesia sa fare, anche di fronte ai referti trovati e agli ipotetici scenari che sono stati:

 

Il piede si incurva e ci fa da supporto
per altre ulteriori gesta e stupori.
 
                             (Il piede ovviamente non si curva.
                             il collo alla giraffa non si allunga)
 
 
 
 
Anche di fronte a un referto oggettivo
restiamo stupiti.

 
 

L’allungarsi e il restringersi dei versi, nel loro battere riconoscibile, si articola in componimenti strofici, i quali animano un discorrere quasi didascalico, nella sua accesa irriverenza, dal momento che la narrazione, specie nella seconda sezione (“Discorso ai batteri”, che dà il titolo al libro), è pungolata dal controcanto tonale del poema cavalleresco, che avvicina il succedersi sovrastante e incoerente degli eventi:

 

Numerose attività metaboliche dei batteri
condizionano le possibilità di vita
degli altri organismi. Perciò essi
a volte si credono dei
o extraterrestri.
 
             Massime, se dal ciel venne sì presto,
             se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe
             persuaso, ingannato e genuflesso.

 
 

La distanza con l’umano si accorcia nella terza sezione “Tempi moderni”, dove compare lo splendido distico:

 

La nostra dentatura inoffensiva
un passaporto di istinto criminale.

 
 

O ancora:

 

Al lupo non restò che farsi cane
e dove rimase indomito alla macchia
avere terrore alle nostre battute
di caccia e ululare impotente alla luna.

 
 

Tutto questo tornare al presente porta all’ultima sezione, “Pietà di noi”, così commovente nel suo essere protesa al gesto della cura o, meglio, del prendersi cura di chi è vulnerabile, portando alla luce, al contempo, la nostra stessa vulnerabilità. Quel gesto fragile, che non vogliamo svelare ma che invitiamo a leggere e che stride con il tono alto di quei versi, risulta ancora più inspiegabile degli eventi che hanno condotto, dopo milioni di anni, al misterioso e spiazzante inclinarsi verso l’altro.

 

Roberto Cescon

 
 
 
 
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