Dal sottovuoto su L’Ottavo

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Da L’Ottavo
 
 

Contro l’assalto dell’assurdo – la botola dell’orrore che si apre all’improvviso sotto la nostra “quieta” normalità – serrare le fila della poesia. È questa l’idea, facile e difficile al tempo stesso, che sta alla base dell’antologia Dal sottovuoto. Poesia assetate d’aria, curata da Matteo Bianchi per la collana Scilla di Samuele Editore. La realtà di un mondo in quarantena, improvvisamente ripiegato su se stesso, ne risulta come straniamento, sfinimento, malinconia e testamento, rifugio e assedio. Voci di trentacinque poeti – reazioni istantanee all’emergenza o profetiche intuizioni in tempi non sospetti – compongono un mosaico che vale assai più di una cronaca in versi del presente. “Una testimonianza storica, oltre che sociale”, sottolinea Matteo Bianchi nella prefazione al libro, e il tenore si precisa fin dalla poesia d’esordio.

Suggestivo è il paesaggio dipinto da Giancarlo Pontiggia: lo sgomento della solitudine, della città fatta isola, esposta ai venti di un’improvvisa, impietosa tempesta emotiva che pure induce a riscoprire la dimensione più profonda – più precaria ma anche più essenziale – dell’esistenza umana. Mentre la città si ritrae “in qualche buco dell’etere”, il camminatore solitario, privato di ogni risposta o consolazione dai simili, si sente spogliato di se stesso. Trasmigra dal suo corpo, dalla sua vita in un limbo di inanità e sospensione eppure, al tempo stesso, avverte finalmente con chiarezza la notte “che entra nello scuro di sempre”. Il mostro del virus è un’infezione di silenzio e insieme uno sterminatore angelico, apocalittico, che ci mette di fronte al senso della morte. Al significato, al sapore. Serve chiamare a raccolta ogni sentimento della vita, per reazione, e cercare di esorcizzare ogni spettro di dolore. “Per tirarmi via, da parte”, come dice Alberto Bertoni, “nella fine straniera delle cose”. Dentro la vita ridotta a quinta, in un paesaggio di colpo vuoto e liquido, aleggia sovrana la paura: Maurizio Cucchi la declassa ironicamente a “fifa”, mette in guardia dalla “infinita, spaventata chiacchiera”; Franco Arminio la rappresenta come atavica “città natale”, marchio di fuoco sulla carne di questi giorni. Reagire è scalare il crinale del senso: se è assurda la fiducia, difficile la speranza, resta ancora – ultimo rifugio – la fragranza del vivere. “A tutti spettano gioie e sventure,/ che almeno siano coraggiose e sincere”.

Leonardo Guzzo

 
 
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