Claribel Alegrìa – 1924-2018

  • Tempo di lettura:10 minuti di lettura


 

Quando viene a mancare qualcuno il dovere e la responsabilità di chi resta è il ricordo. E quando questo qualcuno è un o una poeta il ricordo si lega inevitabilmente ai suoi versi. Al suo atto dolce e feroce del lasciare ai posteri, e in prospettiva per quanto durerà il mondo, un qualcosa che si è capito della vita.

Claribel Alegrìa è venuta a mancare in modo totalmente atteso. Non aveva vent’anni, non aveva cinquant’anni o sessant’anni da dire aveva ancora molto davanti. Claribel aveva novantatrè anni e attendeva di ricongiungersi al suo Bud, il suo amore di sempre. Lo sapevamo, lo sapeva. E soprattutto lo sappiamo con la consapevolezza che Claribel aveva fatto molto nella vita, aveva dato tanto a questo mondo. Tanto da far apparire la sua morte quasi una festa, pur triste, la normale e giusta epifania per una donna e una poeta che ha segnato il Novecento. E a noi resta il dovere e la responsabilità di ricordarla attraverso quello che ha dimostrato con il suo esempio e con i suoi versi. A noi resta l’importanza di chiederci cos’è la vita appoggiandoci su quello che lei ha fatto e scritto. Perché questo in ultima istanza fa un un uomo, fa un donna, fanno i poeti. Dicono cos’è la vita.

La vita è amore. È amare qualcuno così tanto da condividere cinquant’anni di percorso assieme. Nel bene e nel male. Affrontando la vita con uno spirito non solo di condivisione ma di reale e concreta fusione. È l’essere l’uno in due. Se Montale affermava che occorrono troppe vite per farne una, Claribel risponde alla medesima altezza poetica dicendo tutti quelli che amo / sono in te / e tu / in tutto ciò che amo. Anche quando Bud è venuto a mancare, nel 1995, Claribel non ha smesso di vivere assieme a lui, di scrivere di lui puntualmente in ogni libro: siamo stati una farfalla / spensierata / due ali in volo / una / nel riposo.

Bud non è il centro della vita perché anche questo sarebbe sbagliato. Bud è un pezzo onnipresente dell’esistenza, ma non gira tutto attorno a lui. Ma lui c’è sempre, come quando in Claribel in Voci (Samuele Editore 2015, traduzione di Zingonia Zingone e Marina Benedetto) racconta in prosa poetica di un ladro:

 

“Pochi giorni prima di partire da Parigi per l’Africa, dove si sarebbe trattenuto qualche settimana, Bud regalò a Lillian una bomboletta di gas lacrimogeno. – È molto utile – disse –, se sei in pericolo non hai che da premere questo bottone.
Qualche giorno dopo, Lillian uscì dalla metropolitana alla fermata “Argentine”, per tornare a casa. Erano le otto di sera circa, la strada era deserta. Lillian si mise a camminare velocemente. Si accorse che un ragazzo si stava dirigendo verso di lei e non le piacque l’espressione sul suo volto. Tirò fuori dalla borsa la bomboletta e quando il ragazzo le fu vicino, premette il bottone. La cosa brutta fu che diresse il gas verso se stessa. Si sentì asfissiare, si mise a tossire. Il ragazzo si avvicinò per aiutarla.
– Si sente male? – le domandò –, venga che le do una mano. La prese per il braccio e attraversarono in silenzio due isolati.
– Le chiedo scusa – disse il ragazzo quando giunsero all’ingresso dell’appartamento –, lei aveva ragione, volevo rubarle la borsa.
– Tenga – disse Lillian e frugò nella sua borsa fino a trovare il borsellino.
– No, neanche per sogno – protestò il ragazzo allontanandosi.”

 

Perché l’amore non deve essere un concentrarsi attorno a un’unica persona ma vivere il tutto con lei, imparare dal tutto con lei. E questo non rende l’amore meno amore ma meno futile, meno aleatorio, più vivo e reale. Non per niente parlando di Bud Claribel scrive questi versi d’amore straordinari:

 
Sono cucita
all’orlo del tuo mantello
mi sollevi
mi butti giù
giro con te
giro
e ad ogni nuovo giro
più forte
mi abbandono a te.
 

La vita è impegno. È credere in qualcosa. È prendere una posizione e assumersene la responsabilità, le conseguenze.. La biografia di Claribel ce lo insegna a chiare lettere. Nata a Estelí, in Nicaragua, cresce nel Dipartimento di Santa Ana, nel Salvador. Nel 1943 si trasferisce negli Stati Uniti per studiare. Presa la laurea in Filosofia e Letteratura torna in Patria legandosi al Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, d’ispirazione marxista, restando coinvolta come parte attiva nelle proteste nonviolente contro la dittatura del Presidente Anastasio Somoza Debayle. Nel 1979 Somoza Debayle cade e il Fronte prende il potere in Nicaragua, Claribel sceglie decide di tornarvi solo nel 1985, cioè quando Daniel Ortega, dirigente militare del Fronte, divenne Presidente. I suoi libri non di rado prendono parte attivamente e polemicamente contro le ingiustizie sociali, come Ceneri di Izalco, testimonianza della repressione e dei massacri del 1932 perpetrati contro i contadini indios del Salvador.

In una sua illuminante intervista Claribel ci dice la responsabilità che hanno i poeti anche nel sociale:

 

In un mondo dove le parole sono spesso strumenti d’inganno, gli scrittori e i poeti non dovrebbero assumersi la responsabilità di chiedersi: «Quante volte riusciamo ad essere ciò che scriviamo?».
Sì, credo che gli scrittori e i poeti abbiano davvero la responsabilità di porsi questa domanda. E il mio pensiero va subito a poeti come Roque Dalton, Otto René Castillo e Leonel Rugama, che hanno vissuto secondo ciò che predicavano, consegnando la propria vita. Per quello sono stati assassinati.

In molti paesi del mondo ci sono poeti che ancora oggi vengono censurati, minacciati, arrestati, esiliati e talvolta persino uccisi, come ad esempio il saudita Hamza Kashgari che rischia il patibolo per una sua composizione o il cinese Zhu Yufu, condannato a sette anni di prigione per alcuni versi o la giovane scrittrice colombiana Angye Gaona che rischia 20 anni di carcere. Perché la poesia, se è libera, mette così paura al Potere?
Il Potere teme tutto ciò che è espressione libera, non solo i poeti.

[…]

Come possiamo andare al senso più autentico della poesia, alla sua funzione sociale, al suo ruolo, alla sua utilità, se spesso invece siamo prigionieri di formalismi letterari, di gabbie stilistiche, di parametri grammaticali e persino di sperimentazioni eccessive che gli stereotipi e le convenzioni che monopolizzano questo linguaggio ci pongono e ci impongono?
Penso che i poeti non debbano cercare di essere utili alla società come qualsiasi altro individuo. Non è che io pensi che una poesia o una raccolta di poesie possa cambiare il mondo, però può certamente aiutare ad aprire gli occhi, a cercare. Per me lo hanno fatto Vallejo, Pessoa, Ungaretti e tanti altri.

Se, come credo, è vero che tutte le persone nascono con la poesia, ma la maggior parte semplicemente lo dimentica, quel che conta non dovrebbe allora essere soltanto la poesia stessa, finalmente senza fregiarci del titolo di poeti?
Anch’io lo credo, sono d’accordo con te che nasciamo tutti poeti. Quale bambino non è poeta? La cosa brutta è che a metà strada ci smarriamo e dimentichiamo il nostro stupore. Diventiamo più complicati, impermeabili, insensibili.

da Rivoluzione Poetica, traduzione di Zingonia Zingone

 

La vita è immaginazione, è sogno, è capacità di avere una visione per la vita stessa. Questo in ultima battuta ci insegna Claribel. E ce lo insegna ancora oggi e ce lo insegnerà domani con i suoi versi. Perché la vita non si esaurisce con le impellenze quotidiane. Non si esaurisce nemmeno con le occasioni quotidiane. La vita è avere un’idea. E quell’idea misura il valore della propria vita.

 
Torno verso il mare
è lì che nacqui
mi accolse una roccia
quando saltai sulla terra.
Scendo piano
mi trattengo nel muschio
tra i fiori selvatici
scendo a cercare il fiume
che mi riporti al mare.
Il mio vicino
il torrente
non sa che io esisto
brama
salta
riempie canali
scoppia
anche lui cerca il fiume
dissolversi nel fiume
che mi riporti al mare
perché il mare ci aspetta
perché il mare è la culla
perché siamo il mare.
 
 
 
 
Lì dove tu sei
non arrivano i miei segnali
eppure
continuerò a cercarti
a pronunciare il tuo nome
fin quando arriverà quel giorno
in cui io stessa
sarò il tuo segnale.
 

Claribel Alegrìa percorre il novecento con voce limpida e ci lascia un testamento profondissimo quanto leggero, delicato. La fusione della vita con la voce. La fusione della vita con l’amore. Perché vita, voce e amore sono i tre aspetti fondamentali e costituenti del medesimo essere: l’essere umano.

 
Vi lascio una scala
traballante
incompiuta
con qualche scalino rotto
alcuni marci
e più di uno
intero.
Riparatela
mettetela in piedi
saliteci sopra
salite
fino a toccare la luce.
 

Arrivederci Claribel. Grazie di quello che ci stai ancor oggi insegnando. Ti auguro d’essere in questo momento abbracciata al tuo Bud, in qualunque forma o piano d’esistenza sia. Con la certezza che stai ridendo col tuo sorriso grande. Grande quanto la tua vita, quanto la tua poesia.

Samuele Editore

 
 
 
 

Hanno parlato di Claribel Alegrìa:

Rai 3

Lello Voce su Il Fatto Quotidiano

Nicola Vacca su Satisfiction

Gabriella Musetti su Società Italiana delle Letterate

Zingonia Zingone su Fili d’aquilone

Alessandro Canzian sul Blog di Poesia della Rai di Luigia Sorrentino

Il Piccolo di Trieste