Ciacolando de Pordenon

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CIACOLANDO DE PORDENON – Racconti da Casa Serena

 

Un volume che raccoglie i racconti degli anziani di Casa Serena, nota casa di riposo pordenonese. Racconti che fotografano i luoghi, le persone, le cose dimenticate e perdute della Pordenone novecentesca. Ad impreziosire il volume un apporto fotografico dall’archivio Paolo Gaspardo ma non solo.

L’idea di creare un libro dedicato alla comunità di Casa Serena nasce qualche anno fa, durante uno degli incontri settimanali del progetto intitolato Saluti da Pordenone dedicati alle letture di alcune poesie dei poeti pordenonesi Ettore Busetto e Vincenzo Bòsari.
Attraverso il linguaggio poetico gli anziani presenti prendono lo spunto per iniziare a narrare un secolo di storia pordenonese e gli animatori e i volontari, promotori dell’attività, propongono di poter raccogliere le loro testimonianze preziose e di trascriverle con il desiderio di creare un libro.
Si sviluppa così un percorso affascinante costellato da vere e proprie cronache della Pordenone che fu, di aneddoti del quotidiano, di un approccio alla vita molto genuino, e per niente scontato. Tutto questo prende forma all’interno di un contesto che comprende un’intera organizzazione, dove il lavoro relazionale gioca un ruolo fondamentale, mantenendo nel tempo un’attenzione particolare alla centralità ed unicità della persona (nel nostro caso dell’anziano).
Un prezioso apporto, per il perseguimento del progetto è stata sicuramente la risposta straordinaria da parte delle diverse realtà territoriali, sostenuta nell’arco degli anni da un operato di scambio inter-culturale, storico e generazionale.
L’idea di creare e promuovere il libro nel nostro territorio è fortemente accompagnata dal desiderio di diffondere una consapevolezza e uno spunto di riflessione esistenziale, sulla realtà degli anziani “ricoverati”  e purtroppo poco visibili , ma che rappresentano una risorsa notevole per tutta la cittadinanza.
Il risultato finale di tutto il progetto e della redazione del libro si può tradurre in una testimonianza significativa per la città di Pordenone e del territorio circostante, raccontata da chi l’ha vissuta e costruita.

Gli animatori di Casa Serena

 

DUE RACCONTI:

 

Al lavoro nello studio ottico fotografico “Pollini”
Teresa Basso

Ho lavorato da Pollini dall’età di tredici anni fino ai venti.
Mi piaceva il mondo della fotografia, l’archivio dei Pollini era enorme e preziosissimo.
Le pellicole venivano splendide, si sviluppavano in camera oscura, a caldo (18 o 20 gradi). Quando la pellicola si era asciugata si facevano le foto, si mettevano sull’ingranditore e si decideva il formato.
Per lo sviluppo della pellicola la stanza era completamente senza luce, quindi lavoravo al buio come se fossi stata cieca.
Mi affidavo al tatto, prendevo in mano le pellicole dalla parte gelatinosa e le avvolgevo su una specie di appendino doppio, rispettando meticolosamente le distanza tra l’una e l’altra.
Il tempo di posa andava rigorosamente controllato, perchè si rischiava la sgranatura delle foto. Per ottenere le foto si utilizzava il magnesio e allo scatto si sentiva una sorta di tuono.
A quel tempo la fotografia era un “ricordo davvero speciale”. Si facevano in sala di posa in occasioni particolari, come per esempio le Cresime o le Prime Comunioni.
I Pollini erano due fratelli maschi e una sorella. Mario e Arrigo si occupavano della parte fotografica e dell’ottica, inoltre lavoravamo insieme ad un dottore in oculistica.
Il signor Mario Pollini aveva il negozio in Corso Vittorio Emanuele e ricordo che era un tifoso sfegatato dell’Inter.
Era stato un tenente durante la seconda guerra mondiale e aveva ricevuto in dotazione dall’esercito una bicicletta che regolarmente dava in prestito ai suoi soldati.
Ecco perchè anche negli anni successivi alla guerra i suoi ex soldati lo salutavano così “Buongiorno Signor Tenente”.
Mi ricordo che le foto che sviluppavamo per i soldati, che facevano il campo a Claut, le spedivamo lassù, mandandole nel pomeriggio attraverso il signor Gigi, che con la corriera arrivava alla bottega clautana dei De Biasio, consegnando il tutto.
La famiglia Pollini era splendida.
Per concludere vi racconto questo episodio.
Il cav. Pollini aveva acquistato un’auto e disse alla moglie Antonietta: “Vien che andemo a veder che i ga iluminà l’aeroporto”. Ma con l’imbrunire si era dimenticato di accendere i fari della vettura. L’auto finì contro un carretto e Antonietta gli disse: “Vara Piero, quanta zente che te ga copà, quante teste e quanto sangue….”.
Avevano centrato in pieno il carretto delle angurie!

 

I Corai de le corde di via Cappuccini
Dora Corai

‘Na volta a Pordenon se se conosseva tuti, ades no se se conosse più nissun!
Qualche fameia de quel tempo la gera conossua più par el lavoro che la faseva che par altro. Scometo che pochi de voialtri i sa chi che son mi. Son una Pordenonese “doc”!
Me nono, me papà, me mama e mi semo tuti nati a Pordenon.
Andemo indrio  un fià de sent’ottanta ani.
Mi son una Corai e me bisnono el faseva el corder.
Dopo de lu me nono, me papà, me fradel.
La casa de me nono l’è ancora là in via Cappuccini.
Strada dogana vecchia, che la finisse in un gran curtivo con intorno tute le case dei Corai.
Quela de me nono e quele dei so fioi, quela del fradel de me nono, el barba Giovanni e quela de so fiol.
In tut oto o nove fameie, con tanta xente  che saria storie da contar, ma non la finiria più.
Podaria contaverne una piuttosto strana. Dopo la fine della guera se presenta a casa un soldà dell’aviassion americana. El parlava la so lingua, ma ghe gera una siora che la faseva da interprete. El tissio el ga contà che come aviator el gaveva  sorvolà  Pordenon più de ‘na volta. Su la so mapa gera segnà una zona con la scrita “Case Corai”.
El se gaveva cussì incuriosio a voler vignir a conosser el posto e saver de cossa se tratava.
Durante la guera, in grassia del lavoro de casa non ne ga mancà mai gnent. Per dirla tuta al merito l’aviator el ghe va a me mama, che la gera una dona pratica e intraprendente.
Col fil de canevo (canapa) la faseva tesser, in un setificio che esisteva a quel tempo, una tela da portar ai contadini (sempre mesadri sensa gnanca un scheo) che i la usava per far nissioi e canevasse da cusina. In cambio i ghe dava vovi, galine, salame, frumento, verdure.
Un spaghetin fin i ghe lo portava ai montagnoi, che i lo usava per far scufoi e scarpeti.
In cambio la  gaveva buro e formai.
Ghin gera abastanza  par tuta la fameia, compreso me nono e i me zii, ma anca par la xente puareta che i se la passava mal.
Ben, disevo prima che la casa de me bisnono la esiste ancora.
‘Na  volta la gera un convento dei frati cappuccini. La strada che la scominsia dal ponte della ferata fin a Rorai Picol, la ga ciapà el nome proprio da lori.
Coi ani la casa l’è stada restaurada, ma la porta ancora qualche segno del convento. Là ghe sta me fia.
Nel  tempo passà se considerava la città serada dale mura. Di fati, se se andava in centro, se diseva “Vado a Pordenon” anca se se gera a meso chilometro de distansa!
Mi go fat le scuole elementari ala “Gabelli”, no ghe gera altre scuole. Se andava a piè, minga in machina, da soi xa a sete o oto ani. Tornemo al tempo de ades.
Go ancora una notissia che me riguarda: son la sorela de Italo Corai. Qualchidun forse i lo gaveva conossuo parché nela so vita el se ga impegnà seriamente par difender i diritti delle minoranze e dei più deboli.
A Italo ghe piaseva anca scriver.
Di fat el ga scrit diverse storie de persone veramente conossue, abbastanza simpatiche par dir la verità.
Fin da picol el gaveva el senso dell’umorismo, magari anche con un poc de impertinensa.
Eco un fato; un giorno vien a trovarne un xovene che non se conosceva de persona, ma se conosceva ben so sorela.
Lo gavevimo portà in giro par Pordenon e ala fine el xoven el dis: “Pordenon l’è ‘na sorpresa par mi, credevo che el fossi un picol paese de campagna e invesse el xe ‘na grassiosa cittadina”. E Italo (9 anni): “Anca lu l’è ‘na sorpresa par mi, so sorela l’è cussì belina!”.
Spero de averve dà ‘na idea de la fameia da dove vegno.
Ah dismentegavo! Drio là, in viale Marconi, ghe xe una botega de Corai che la porta avanti la tradizion de casa.