Asterischi su Laboratori Poesia

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da Laboratori Poesia
 
 
 
 

Se dovessimo racchiudere la poetica e più in generale la filosofia esistenziale di un autore come Emilio Di Stefano che già vanta significative note critiche di autori come quella dello stesso prefatore della raccolta Vincenzo Guarracino basterebbe affacciarsi sui territori affidati ai versi iniziale di quest’opera laddove egli, con notevole resa prospettica, afferma di stare

nell’ozioso brulicare dei pensieri
a riscaldarmi vergognoso
in ogni attimo ubriaco di sole

Una sorta di girasole montaliano che ama ‘impazzire’ di sole e di luce mentre l’esistenza si produce vorticosa, affastellata nei meandri più o meno recònditi della mente. Il poeta rammenta i percorsi dell’infanzia e di un tempo ormai consegnato al ricordo ed è proprio nel “riportare al cuore” ch’egli intravede quel barlume di gioia strozzata nel “pallone da cinquanta lire” orribilmente squarciato dall’anonimo vicino, una sorta di presagio del male che l’esistenza reca in sorta all’uomo a mano a mano che si acquisisce piena coscienza di sé:

insieme al grido che s’era fatto tardi
per fare qualcosa di ogni cosa

rendendo così vacuo il persistere di un’emozione, la progettualità, il rincorrere una serenità quotidiana mentre

si consumava, banale e naturale,
l’inesplicabile rigurgito del male

Tornano sovente nella poesia di Di Stefano le ‘malvagie cose’ che eruttano come lava creando una sorta di torpore malinconico come nel ricordo dell’animale scuoiato “in un inferno di grugniti” o la similitudine che rinveniamo tra la persona e il borgo fonte di disincanto e disillusione

Triste,
come un paese senza piazza
e senza scuole;

che anticipano la sensazione di distanza, assenza, vuoto in un silenzio quasi irreale e, pertanto, fragoroso nel suo inesplicabile significato. L’autore ricorre sovente all’utilizzo proprio dei “silenzi” che appaiono talvolta “disamorati” o elementi necessari per ascoltare

gocce di luna nell’aria
che raccontano favole

che suggella uno dei versi più puri e cristallini con la tremolante, morente luce della sera a inazzurrarsi nell’occaso.

Ma non possiamo dimenticare o omettere che in omaggio al titolo della raccolta, Asterischi appunto, s’ha da cogliere, da vagliare attentamente il messaggio che l’autore intende lanciare e che sovente va oltre, al di là dell’immediata configurabilità etimologica del termine o dell’espressione, come ci aiuta a comprendere questo verso finale di una delle poesie contenute nel volume:

e l’asterisco pareva rimandare
alla nota concludente,
la sinossi a pié di pagina mancante

C’è, ordunque, una mancanza, un non detto che si fa strada qua e là sul rigo e che richiede un’ulteriore opera di comprensione dopo la presa visione dello scritto. In materia è più che egregio il lavoro promosso da Marisa Brecciaroli in appendice con l’approfondita lettura psico-critica dell’intera opera che dispiega spunti anche notevoli.

Se poi vogliamo soffermarci sulla concezione quasi panica della natura in Di Stefano avremmo gioco facile a recuperare suoni onomatopeici, descrizioni di vite anche ipogee, immagini di animali che costellano le pagine, forma primigenia di una pertinente, quasi compulsiva osservazione di ciò che sta intorno a sé e che egli ha così bene introiettato.

Federico Migliorati

 
 
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