Prugne sulla pelle – Chiara Baldini

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ESAURITO
 
 

Prugne sulla pelle
Chiara Baldini

Samuele Editore 2016, collana I Folli (diretta da Silvia Secco)
prefazione di Laura Liberale

pag. 64
Isbn. 978-88-96526-82-8
prezzo 11 €

 
 
 
 

Le poesie che Chiara Baldini ha raccolto in Prugne sulla pelle hanno Asclepio come nume tutelare. Asclepio dio della medicina, figlio di Apollo; colui che fu istruito nella sua arte dal centauro Chirone; colui che ha come attributo principale il serpente che si attorciglia intorno a una verga. Dov’è Asclepio, lì vi sono delle ferite da guarire, ma prima di tutto da accettare (“Ci vuole la pelle aperta, a volte/per accogliere la vita”) e da trasformare perfino in un “ghigno goloso di conoscenza” (penso alle ferite che si fanno feritoie − e dunque squarci di visione e di possibilità − di cui ci dice Aldo Carotenuto); lì vi è il “sangue infetto”, la conta dei lividi, le epidermiche prugne (questo, d’altronde, è un libro che pullula di vegetale metaforico: castagne, gherigli, semi, bucaneve, bucce, polpe, torsoli, bulbi); lì vi sono vertebre lese che possono diventare sentieri dorati attraverso cui portare in salvo la trinità familiare.
Dov’è Asclepio, c’è sempre un corvo candido che diventa, per maledizione, nero (“pennino corvo che gracchia / il papiro dell’avrei voluto”); del sangue che può scorrere doppio: da un fianco, in forma di veleno, sventura e sterminio, dall’altro, in forma di salvezza e guarigione (“a sanare la vacanza / d’Ippocrate”, “Poi fu la cura”); un fascio di papaveri (e penso allora ai papaveri di altri versi, inediti, di Chiara Baldini: “io troppo singola/goccia di rosso per tanto terreno”; “figlio io di un solo seme / dal caso fatto a cavallo di piuma). E lui, naturalmente: il serpente che lambisce le ferite (leggiamo, dalla bellissima poesia intitolata Albeggia nel letto d’ospedale: “Così / è anche la Primaluce − se rubata / alle ossa − il soffio della Malessenza: / dalle narici fuori a rincalcarsi ancora / in quelle labbra di buco / come il serpente del primo peccato”).

dalla prefazione di Laura Liberale

 
 
 
 
 
 
Prugne sulla pelle
 

Lei le conta col polpastrello,
nate malvolute, di notte dalle vene.
Lei le conta come quando faceva
la piccola lumaca sul sussidiario
e il labbro tremava i conti.
Occhi all’aria, leggere le ciglia
in blu stilografico, via soffiata la paura.
Una ad una le conta. Lei le conta
così non le perde, e piccola
torna con il labbro a soffrire
solo protetta dal pigiama di velina
che punge al naso un antisettico bruno.
Occhio basso, piombo di palpebre
sulle ematiche voglie, guasti di vita.
Una ad una le conta. Lei, le conta
per tutto il corpo. Ombre di un male
ancora ignoto, del buio lividi come
frutti, conta, le prugne sulla pelle.
 
 
 
 
 
 
La sutura

 
Ti aspetta di nuovo sui piedi
per ballare la vostra canzone piccina,
carillon familiare che lava le lotte.
Ci vuole la pelle aperta, a volte,
per accogliere la vita. Farsi passare dall’ago,
accettare la sutura. Ci vuole tutto il tempo
a volte, perfino quello passato.
Ci vuole una mano aperta sulle guance.
Una mano qualunque.
Ogni carezza perduta è uno schiaffo.
 
 
 
 
 
 
Ore 7, Autogrill
 

Una bustina di zucchero al banco
in fuga dalla fretta.
Una bustina di zucchero di quelle
che noi non usiamo perché il caffè
ci piace nero, ma conforta
averla in fianco alla tazzina
come una premurosa geometria.
Nel fondo dei miei occhi
torniamo a guardarci, complici
– soffio sincrono sul bianco fumo –.
Sulla punta dei due nasi la stessa macchia.
Il sorriso: ti sono specchio e tu brilli.
 
Una bustina di zucchero non sa morire.
 
 
 
 
 
 
Domenica
 

Tu punti chiodi per i miei capricci,
fai di foto le cornici, del giorno
il contorno. Per me il sole stesso
chiuso nel vetro. Lo scatto dell’occhio
a dirci la trinità, cerchietto di labbra
a dirci rotondi di seme. Dai palmi
alle dita sei la pazienza sull’erba,
capelli di donna unica che non temo.
Apri spazi piccini a profumare come loro
possono e sanno. Così io. A piedi nudi.
Domenica mattina in te è casa,
una sistole incarnata, piena
nel mio corpo. Dove prima era il vuoto.
 
 
 
 
ESAURITO