Pasquale Di Palmo intervista Rosa Salvia

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Pasquale Di Palmo
La voce del poeta: Rosa Salvia

Poesia dell’irraggiungibile

Per l’autrice lucana (la cui ultima raccolta è “Il giardino dell’attesa”) si tratta di «una prova d’azzardo», raggiunta attraverso una parola sempre contrapposta a se stessa, come un ossimoro perenne. Perché l’unica verità che conta è quella enunciata da Eraclito…

Insegnante lucana che vive a Roma, Rosa Salvia ha pubblicato varie raccolte, tra le quali ricordiamo Mi sta a cuore la trasparenza dell’aria (2012) e Dolore dei sassi(2015). Nel 2017 per Samuele Editore è uscita la silloge Il giardino dell’attesa (100 pagine, 12 euro) in cui si sviluppa la tematica del giardino che diventa una sorta di ricettacolo della vita e della morte, dove foglie, radici, uccelli convivono con ossa, scorie e rifiuti. Sono rintracciabili parecchi echi letterari in tale poetica, a cominciare da quelli della “profetessa” moderna Simone Weil. «La fisionomia degli alberi la si riconosce / non dalla chioma, ma dalle radici» è un distico che sembra richiamare un verso della scrittrice di La Pesanteur et la grâce: «In verità l’albero è radicato in cielo». «La radice è l’essenza delle cose / e le nascite vanno spiegate qui» avverte ancora Rosa Salvia.

Può parlarci della sua ultima raccolta?
Ho lavorato per lungo tempo a Il giardino dell’attesa, mai paga, sempre alla ricerca di un obiettivo che in poesia rimane pur sempre ‘tensione’ nell’ambito di una precarietà ermeneutica, di «una prova d’azzardo», per dirla con Eliot. Provo a muovermi attraverso la parola che si contrappone a sé stessa, ossimoro di un essere interiore in perenne ambivalenza (di qui una varietà di scelte linguistiche), fra la mescolanza di precisione oggettiva e di estensione simbolica. Mi preoccupo di creare un mondo fisso e riconoscibile, il paese d’infanzia e il giardino (parola che nella prima sezione della raccolta ricorre in maniera quasi ossessiva) adiacente alla mia casa natìa, dal quale far affiorare pensieri, emozioni, mondi distanti, che si toccano e si guardano a vicenda, come antidoto alla violenza esterna. Una sorta di lungo, talora accidentato cammino, che si popola di persone e figure attraverso atmosfere dilatate e sospese nella sola certezza possibile del tempo che sottrae la vita, ma ridà la memoria le cui scelte nascono non solo dalle tracce profonde dell’esistenza, ma sempre anche dall’esistenza riflessa: dalla lettura dei poeti, degli scrittori, dei filosofi. Per cui il libro è costellato di citazioni, nella consapevolezza però che la cultura e la poesia non vadano a braccetto. Solo la lingua può essere un riferimento sicuro, magari per trasgredirla, se occorre.

Pasquale di Palmo

 

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