Melania Panico recensisce Scripta non manent

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Da Laboratori Poesia
 
 

Leggere il libro di Sandro Pecchiari pone di fronte a domande sulla poesia stessa. Avevo già avuto modo di parlare della poesia di questo autore, concentrandomi sul significato dell’autotraduzione. Ne L’imperfezione del diluvio autotradursi significava in un certo senso modellare una lingua sull’altra, riflettere sulla lingua, sui concetti di integrazione e adattamento. Ancora una volta, con Scripta non manent, Sandro Pecchiari dimostra di essere interessato alla riflessione sulla parola, al significato e al significante. Se in poesia la parola è tutto, una delle prime e fondamentali domande che un poeta deve fare a se stesso e alla propria poesia è: quando una poesia è veramente conclusa? C’è un momento della vita artistica di un autore in cui, di fronte al foglio, non sente più il bisogno di levigare, correggere, eliminare? E questa è la domanda che percorre l’intero lavoro di Pecchiari, il filo conduttore.

Il titolo è emblematico da questo punto di vista: le cose scritte non restano veramente le stesse per sempre. Il sottotitolo infatti è Riscritture. L’autore prende in mano le raccolte passate e le scandaglia, operando un lavoro anche filologicamente interessante. Molto spesso, confrontando le due versioni, quella originale e quella rivisitata, si nota come l’autore agisca per sottrazione, testi in cui a volte anche il senso appare diverso, come a inglobare tutto il percorso emotivo-esistenziale regresso, immagazzinato e rielaborato. In questo senso i testi rivisitati risentono della forza del cambiamento, ne sono pregni. In altri casi Pecchiari decide di lasciare la versione originale che considera quindi “definitiva” almeno per il momento.

Si nota come l’autore decida di mantenere inalterati soprattutto i testi tratti dall’ultima raccolta (L’imperfezione del diluvio, già citata precedentemente, libro pubblicato nel 2016) forse perché è proprio a distanza di anni, spesso, con un certo allontanamento sia cronologico che emotivo, che si riesce a guardare i propri testi in modo più distaccato e quindi a operare un cambiamento che, seppure doloroso, ci appare indicato.

L’operazione di Pecchiari è interessante anche perché pone il poeta al centro di una riflessione con se stesso in cui “riscrivere” vuol dire “riaversi” ovvero riappropriarsi di una certa indagine introspettiva che ha come frutto la parola poetica, sempre viva e sempre nuova.

Nell’ultima parte del libro, scritti inediti danno il passo all’intero progetto: “nòminati/ora che sparisci/i corpi/vanno in un altro dissetarsi”. Le cose esistono perché le nominiamo. E ancora: “una tregua ora/ dal gettare via il passato/ di ciò che si diventa”. C’è un momento in cui la pace sembra raggiungerci, quasi inadeguata e lì possiamo fermarci e mettere un punto.

 

Melania Panico

 
 
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