LIBRI IN CANTINA POESIA – 30 settembre / 2 ottobre, Cantine Collalto – Susegana (Tv)

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PROGRAMMA

 
 

Venerdì 30 settembre

ore 19.00
Rimessa delle Cantine di Collalto
Inaugurazione mostra La casa apocrifa
di Rachel Slade
con una performance musicale di
Rosolino Di Salvo

 

ore 20.00
Sala Degustazione delle Cantine di Collalto
Inaugurazione Libri In Cantina Poesia

Presentazione Telepatia (Lietocolle-Pordenonelegge 2016)
di Gian Mario Villalta
a cura di Alessandro Canzian

A seguire rinfresco

 
 

Sabato 1 ottobre

ore 16.00
Rimessa delle Cantine di Collalto
Presentazione Mito classico e poeti del ‘900 (Stilo Editrice 2016)
di Bianca Sorrentino
a cura di Alessandro Canzian

 

ore 17.00
Rimessa delle Cantine di Collalto
Presentazione Epica dello spreco (Dotcom Press 2016)
di Laura Di Corcia
a cura di Guido Cupani

 

ore 18.00
Rimessa delle Cantine di Collalto
Presentazione della trilogia poetica (Samuele Editore 2012, 2013, 2015)
di Sandro Pecchiari
a cura di Corrado Premuda

 
 

Domenica 2 ottobre

ore 16.00
Rimessa delle Cantine di Collalto
Presentazione La parte dell’annegato (Nottetempo Editore 2016)
di Laura Accerboni
a cura di Alessandro Canzian

 

ore 17.00
Rimessa delle Cantine di Collalto
Presentazione Semiotica del male (Campanotto 2016)
di Flaminia Cruciani
a cura di Tomaso Kemeny

 

ore 18.00
Rimessa delle Cantine di Collalto
Reading di Poesia con
Emilia Barbato
Rachele Bertelli
Gabriella Musetti
Maria Milena Priviero
Lina Salvi
Elena Zuccaccia

A seguire open reading

 
 
 
 

BIOGRAFIE

 
 
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Laura Accerboni (Genova, 1985). Sue poesie sono state pubblicate su diverse riviste tra cui: Nuova corrente; Italian Poetry Review; Gradiva; Poesia; Lo Specchio; Steve; Capoverso, Loch Raven Review (Maryland). Sono in corso di pubblicazione sulla rivista olandese Kluger Hans. Nel 2015 è uscito presso la casa editrice Nottetempo il libro di poesie La parte dell’annegato. Nel 2010 ha pubblicato per le Edizioni del Leone la raccolta poetica Attorno a ciò che non è stato (Premio Marazza Opera Prima, 2012). È stata ospite di festival internazionali come Poetry International Rotterdam, Olanda; Goran’s Spring, Croazia; Felix Poetry Festival, Belgio; ChiassoLetteraria, Svizzera. Sarà presente al festival Struga Poetry Evenings, Macedonia. Ha conseguito numerosi premi letterari tra cui: Lerici Pea (1996), Il Molinello (2000), Piero Alinari (2011). È nel comitato editoriale della rivista di poesia Steve Edizioni del Laboratorio. Collabora con il Gruppo Editoriale L’Espresso (ilmiolibro).

 
 
 
 
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Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971. Laureata in Economia ha pubblicato le raccolte di poesia Geografie di un Orlo (CSA Editrice, 2011), Memoriali Bianchi (Edizioni Smasher, 2014), Capogatto (Puntoacapo Editrice, 2016) e diverse antologie con Fusibilialibri, Ursini, Aletti, Fondazione Mario Luzi Editore.

 
 
 
 
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Rachele Bertelli è nata l’8 maggio 1993 a Mantova, dove vive. Studia all’università Ca’ Foscari di Venezia. È parte del “Gruppo 77” di Bologna, che promuove la diffusione della poesia e il dialogo di questa con altre forme d’arte. Nel giugno 2014 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Tra le ceneri della soffitta edita da Sometti. Ha partecipato con quattro poesie alla prima raccolta poetica del gruppo 77 dal titolo Poeros edita da Samuele Editore nella collana I Folli. Ha partecipato a diverse altre antologie poetiche ed è risultata per due volte consecutive segnalata al Premio nazionale di Poesia Terra di Virgilio.

 
 
 
 
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Alessandro Canzian (1977), vive e lavora a Maniago (Pordenone). Ha collaborato e collabora saltuariamente con varie riviste e blog. Ha fondato la Samuele Editore. Come autore ha pubblicato diversi libri di versi tra cui Il colore dell’acqua (Samuele Editore 2016, prefazione di Mario Fresa). Ha partecipato a varie rassegne letterarie. Un articolo tratto dal suo blog (The place to be) è stato nel dicembre 2013 pubblicato nella rivista “NEMLA Italian studies” del College of New Jersey.Nel 2015 Giovanna Rosadini, ne Il Corriere della Sera – La Lettura, riprende un articolo tratto dal suo blog ed elogia la sua attività editoriale definendolo “una di quelle «eroiche» realtà poetico-editoriali citate da Di Stefano”.

 
 
 
 
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Flaminia Cruciani, romana, si ė laureata in “Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente antico”, presso la Sapienza Università di Roma sotto la guida del Prof. Matthiae, e ha poi conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in “Archeologia Orientale” nella stessa Università, con una tesi su “L’iconografia degli dei nella glittica paloesiriana”. Ha perfezionato i suoi studi con un Master di II livello in “Architettura per l’Archeologia – Archeologia per l’Architettura” per la valorizzazione del patrimonio culturale. Per lunghi anni ha partecipato alle annuali campagne di scavo a Ebla in Siria, in qualità di membro della “Missione archeologica italiana a Ebla”. Ha poi conseguito una seconda in “Storia dell’arte”. È esperta di glittica e di Visual Studies. Presso la Sapienza Università di Roma, ha tenuto annualmente corsi sul rapporto tra l’iconografia e il testo nella tradizione mesopotamica. È autrice di pubblicazioni a carattere scientifico e consulente nell’ambito di diversi progetti archeologici dell’Università e del Comune di Roma. Si è specializzata, inoltre, in Discipline Analogiche, attraverso lo studio dell’Ipnosi Dinamica, della Comunicazione Analogica non Verbale e della Filosofia Analogica, conseguendo il titolo di Analogista. Pratica quindi una professione di aiuto per la lettura e la decodifica delle dinamiche emozionali profonde, in grado di promuovere un efficace livello di comunicazione tra l’istanza logico-razionale e quella analogico-emotiva, che consente all’individuo di sbloccare disagi, uscire da difficoltà relazionali, schemi ripetitivi e di orientare la vita a un rivoluzionario benessere. Da diversi anni è operatore certificato di Psych-K. Ha, inoltre, inventato il “Noli me tangere®”, uno strumento di aiuto fondato sulla metafora e sul potere evocativo delle immagini, in grado di favorire il processo di individuazione della persona. Nel 2008 ha pubblicato Sorso di Notte Potabile (Edizioni LietoColle). Nel 2015 ha pubblicato Lapidarium (Edizioni Puntoacapo) e nel 2016 Semiotica del male (Edizioni Campanotto). Suoi testi letterari sono presenti in numerose antologie italiane e straniere. È stata selezionata fra i giovani poeti italiani contemporanei per il Bombardeo de Poemas sobre Milán, opera del collettivo cileno Casagrande. È tra i fondatori e gli ideatori del Grand Tour Poetico e della Freccia della Poesia.

 
 
 
 
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Guido Cupani è nato a Pordenone il 29 giugno 1981. Lavora presso l’osservatorio astronomico di Trieste e vive a Portogruaro. Dal 2014 è papà di una bimba di nome Emma. Ha pubblicato la raccolta di poesie Le felicità (Samuele Editore, 2011; seconda edizione 2015) e la plaquette Qualcosa di semplice sulla neve (Edizioni Culturaglobale 2013). Per Samuele Editore ha inoltre tradotto dall’inglese le sillogi Nel santuario e Gifted/Beneficato di Patrick Williamson; di quest’ultima ha curato anche la prefazione. Una scelta di otto poesie è stata selezionata per la pubblicazione nell’antologia Zenit Poesia 4×10 (La vita felice, 2015); è presente anche nell’antologia Blanc de ta nuque, vol. 2 (Dotcom, 2016). Sue poesie sono apparse online su numerosi siti, fra i quali Nazione indiana, pordenonelegge.it, Blanc de ta nuque, I poeti sono vivi, Poetarum Silva e Perìgeion. Ha ottenuto riconoscimenti al concorso Giuseppe Malattia della Vallata (secondo posto nel 2014; primo posto ex aequo nel 2015), al Premio Teglio Poesia (terzo posto nel 2014), al concorso di Poesia Haiku Matsuo Bashō (terzo posto ex aequo nel 2014) e al premio Renato Giorgi per la poesia inedita (primo posto nel 2015). Collabora alle riviste online Perígeion e Fare voci–Giornale di scrittura. È membro di giuria del Premio internazionale “Castello di Duino”. È inoltre membro dell’Associazione Italiana Haiku e dell’associazione culturale Porto dei benandanti (Portogruaro), con cui gestisce l’organizzazione del festival Notturni di versi. Cura il blog Guido Q (http://guidoq.wordpress.com).

 
 
 
 
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Laura Di Corcia, nata a Mendrisio nel 1982, ha conseguito la laurea specialistica in Lettere Moderne, con una tesi sulla poesia italiana del Novecento, occupandosi di Giovanni Raboni, Guido Gozzano, Umberto Saba, Giorgio Caproni e Patrizia Valduga. Terminati gli studi nel 2007, ha iniziato a frequentare il mondo del giornalismo. Dopo un paio di esperienze all’estero (a Berlino e a Los Angeles) è ritornata nella Svizzera italiana dove collabora con diverse testate, occupandosi soprattutto di teatro, cultura e servizi di approfondimento. Oltre ad aver partecipato a diversi Festival, tra i quali Europa in versi e Topolò, ha curato la biografia di Giancarlo Majorino, uscita per la casa editrice La vita felice. Di recente ha pubblicato il suo primo libro in versi, Epica dello spreco, presso la casa editrice Dot.com Press. Il libro è stato recensito da Ida Travi (sul Manifesto), Gilberto Isella (sul Giornale del Popolo, Svizzera italiana), Stefano Guglielmin sul blog Blanque de ta nuque, Biagio Cepollaro con una video-recensione sul blog poesiadafare. Un suo testo è apparso sulla rivista on line di Alfabeta 2, in una rubrica intitolata “Una poesia”, curata da Ivan Schiavone e dedicata ai nuovi giovani poeti in lingua italiana. I suoi testi appaiono inoltre anche nelle antologie Più non sai dove il lago finisca (la stampa) e Fil rouge (Cfr).

 
 
 
 
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Rosolino Di Salvo, musicista e compositore siciliano nasce a Pforzheim (Germania) nel 1970. All’età di dodici anni, intraprende gli studi musicali sotto la guida del celebre Compositore e Cantautore siciliano Massimo Melodia e ha proseguito lo studio della chitarra con Dario Macaluso. Si laurea in Architettura e in Chitarra presso il Conservatorio V. Bellini di Palermo, dove ha studiato Composizione con Giovanni D’Aquila e Giovanni Damiani. Ha frequentato stages annuali di perfezionamento chitarristico con Giulio Tampalini e Masterclass con Claudio Piastra e Benjamin Dwyer. È stato assistente didattico di Claudio Piastra presso l’Accademia di belle Arti Tadini di Lovere (BG). Si è esibito da solista, con diverse formazioni cameristiche, con l’Orchestra a plettro del Conservatorio V. Bellini di Palermo e con l’Orchestra a plettro “Armonie in Pizzico” di Brescia. Trasferitosi in Lombardia, svolge inoltre una intensa attività didattica e di preparazione per le ammissioni in Conservatorio per lo strumento chitarra e composizione. Pubblica con la Bèrben Edizioni (Lieve, 2010, dedicato al chitarrista Giulio Tampalini, lavoro peraltro curato dal chitarrista e compositore Giovanni Podera, La Deriva dei Sensi – Danza dell’entroterra per tre chitarre, 2011, dedicato al trio Carlos Bonell, Flavio Cucchi, Claudio Piastra, Colori, sette preludi per chitarra, 2012, a cura di Claudio Piastra, La notte di Penelope, 2012, dedicato al chitarrista Giorgio Mirto, inciso dallo stesso nella raccolta “Nocturnes for Guitar” (Brilliant 2012), Triptico della terra e del mare, 2013, per voce flauto e chitarra, dedicato al chitarrista Giorgio Mirto. Dal 2011 le sue composizioni per chitarra sono state ammesse nei programmi di musica contemporanea presso svariatie accademie e istituti superiori di studi musicali, in Sicilia, Lombardia ed in Emilia Romagna. Hanno eseguito ed inserito la sua musica nei programmi da concerto Musicisti e colleghi di spiccata sensibilità come Giulio Tampalini (2010, 16 ottobre World Live Concert on classicalguitarchannel.tv, 5 novembre Enoteca Sorsi e Bocconi presso Albino BG), il chitarrista Fabio Maida (2011, 18 marzo Auditorium Museo Archeologico CL) e il chitarrista compositore Giorgio Mirto ( 2011, 24-25-26 marzo Sardegna; 7 maggio Palazzo Sforza Cesarini a Genzano di Roma; 2 giugno Teatro Avenida Maputo-Mozambico; 2 novembre Tokio – Japan Tour), il “The New Guitar Trio” Carlos Bonell, Flavio Cucchi, Claudio Piastra (2° Festival Chitarristico “I Colori della Musica”, 30 marzo 2012 Auditorium Enrico Fermi, Celano AQ). Negli ultimi anni si è prevalentemente orientato verso i linguaggi delle avanguardie e la sua attuale ricerca è fondata sul tema in cui armonia e forma sono la tangente dei svariati percorsi; il suo processo musicale comprende anche stimoli multipli, attraverso il trasferimento di esperienze che decostruisce la rigida struttura dell’ingegneria musicale preconcetta. Nella composizione di paesaggi e scenari, le strutture dei brani sono articolate a partire da riserve di suoni elettroacustici che creano il ritratto sonoro di un ambiente, e secondo schemi di manipolazione elettronica ispirati alle poetiche di Cage, Stockhausen, Reich, Part, si esplicano attraverso forme di natura minimalistica, ridotte all’essenziale. La sua musica è quindi in continua evoluzione, aperta e sperimentale, ed i suoi suoni sono malleabili e mutevoli, come la nostra vita interiore. Esiste infatti nelle sue musiche una giunzione diretta tra il mondo esterno ed interno. Collabora con musicisti che hanno inciso le sue musiche per Brilliant Classics (Olanda), 3Sixty Studios di Fulham (London UK), e artisti visivi per i quali ha composto ed eseguito musiche per mostre d’arte contemporanea in Italia, e all’estero e tra le più recenti, Chrysalis, Museum de Arta e Iaga Gallery, 2015, Cluj Napoca (Romania), La Nacional Gallery, mostra personale e performance musicale con Rosolino Di Salvo, In-Out the City / Dentro e fuori la città, Direttore Artistico Robert Sanfiz, 2015, New York (USA), Fili-Form, opere da vedere e ascoltare, recital presso Le Dame Art Gallery at Meliá White House, 2015, Londra (UK), Sphera at Artrooms 2016, Meliá White House, Londra (UK), Sphera, Re:music, 2016, Auditorium Bowie, Scuola Musica del Garda, Desenzano d.G Brescia, Sensory Experience, Seminario e Concerto, Associazione Culturale Caffè Letterario Primo Piano, 2016, Brescia.

 
 
 
 
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Tomaso Kemeny, nato a Budapest nel 1938, dal 1948 vive a Milano ed è stato professore ordinario di Letteratura Inglese presso l’Università di Pavia. Ha scritto articoli, saggi, libri sull’opera di Ch.Marlowe, Coleridge, Shelley, Byron, Scott, Thomas, Pound e Joyce. Ha pubblicato libri di poesia, a iniziare con Il guanto del sicario (New York, 1976), e proseguire con Qualità di tempo (Milano, 1981), Recitativi in rosso porpora (Udine, 1989), Il libro dell’angelo (Milano, 1991), Melody (Milano, 1997), Desirèe (Milano, 2002) e Se il mondo non finisce (Faenza, 2004). Ha composto il testo drammatico La conquista della scena e del mondo (rappresentato per la prima volta nel 1996) e ha pubblicato il romanzo Don Giovanni innamorato (Milano, 2002). Ha curato e tradotto l’opera di Lord Byron (Segrate, 1993) e volto in italiano l’epilio Ero e Leandro di Ch. Marlowe (Milano, 1994) e Poesie scelte di Jozsef Attila (Roma, 2005. Premio speciale per la traduzione, Giuseppe Acerbi, 2006). Con il filosofo Fulvio Papi ha scritto Dialogo sulla poesia (Pavia, 1997) e ha pubblicato un libro di poetica L’arte di non morire (Udine, 2002). Nei primi anni ’70, nella Galleria d’Arte Mercato del Sale a Milano, gestita da Ugo Carrega, ha attivato letture pubbliche di testi poetici, con coinvolgimento del pubblico, insieme a Nanni Cagnone. Con Cesare Viviani ha organizzato i seminari sulla poesia degli anni ’70 presso il Club Turati di Milano (1979 e 1980) e curato i relativi atti: Il movimento della poesia italiana negli anni settanta (Bari, 1979) e I percorsi della nuova poesia (Napoli, 1980). Tra i fondatori del Movimento Internazionale Mitomodernista, ha performato rituali poetici di “accoglienza della primavera” nel 1995 (sul Ticino, presso Pavia) e nel 2001 (nei Giardini Malaspina di Pavia) e realizzato una parata dionisiaca a Bergamo (2000). Con Giuseppe Conte e Stefano Zecchi ha curato l’Almanacco del Mitomodernismo 2000 (Alassio, 2000). Nel 2004, presso l’Università di South Carolina, ha eseguito frammenti di poesia sciamanica. Tra le ultime pubblicazioni ricordiamo, nel 2005, La Transilvania Liberata, poema epiconirico (Milano) in dodici canti, frutto di un lavoro di venti anni (Premio Montano 2006), Poemetto gastronomico e altri nutrimenti (Jaca Book, Milano, 2012), Quarantacinque poesie 1952-1961 (Nomos Edizioni, Busto Arsizio, 2012), Una scintilla d’oro a Castiglione Olona e altre poesie (Effigie, Milano, 2014), 107 incontri con la prosa e la poesia (Verri, Milano 2014). È uno dei fondatori della Casa della Poesia di Milano.

 
 
 
 
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Gabriella Musetti, nata a Genova, è vissuta in molte città. Attualmente vive a Trieste. Organizza “Residenze Estive” Incontri internazionali di poesia e scrittura a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia. Dirige la Rivista “Almanacco del Ramo d’Oro, Nuova serie”, semestrale di poesia e cultura. Si è occupata di saggistica per la scuola e di scrittura delle donne. Collabora a diverse riviste nazionali. è socia della Società Italiana delle Letterate. Ha recentemente fondato, insieme ad altre, la casa editrice Vita Activa: www.vitaactivaeditoria.it. Ultime pubblicazioni: Sconfinamenti. Confini passaggi soglie nella scrittura delle donne (Il Ramo d’Oro Edizioni, 2008, a cura di A. Chemello, G. Musetti); Racconti triestini. Antologia di scrittrici contemporanee (Arbor Librorum, 2012), Guida sentimentale di Trieste (Vita Activa, 2014), Dice Alice. Percezioni e storie di donne (Vita Activa, 2015). In poesia: Obliquo resta il tempo (Lietocolle, 2005), A chi di dovere (La Fenice, 2007, Premio Senigallia Spiaggia di Velluto), Beli Andjeo (Il Ramo d’Oro Edizioni, 2009), Le sorelle (La vita felice, 2013), La manutenzione dei sentimenti (Samuele Editore 2015, collana Scilla, prefazione di Rossella Tempesta)

 
 
 
 
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Sandro Pecchiari laureato in Lingue e Letterature Straniere, ha pubblicato Verdi Anni (collana Scilla 19, 2012, prefazione di Roberto Benedetti), Le Svelte Radici (collana Scilla 33, 2013, prefazione di Mary Barbara Tolusso) e LʼImperfezione del Diluvio / An Unrehearsed Flood, in versione bilingue (collana Scilla 44, 2015, prefazione di Andrea Sirotti) con la casa editrice Samuele Editore di Fanna, Pordenone. I suoi libri sono stati presentati e letti nel programma Le Parole Più Belle, Telecapodistria, Slovenia, nel 2014 e 2015. Alcuni lavori, tradotti in inglese, in albanese e sloveno, sono apparsi in numerose antologie (fra cui la Collana dei Poeti Contemporanei 2013 e 2014, diretta da Elio Pecora; lʼAlbanian Antologjive Poetike Universale Korsi e Hapur – Open Lane 2014; Revija SRP, Ljubljana, ottobre 2015); nel libro Lettere – a te (Samuele Editore, 2012) e sono stati presentati da Rachel Slade al New York City Poetry Festival 2014, alle Residenze Estive 2014 e 2015 presso il Castello di Duino, organizzate da Gabriella Musetti. Sue traduzioni dall’inglese sono visibili nel sito della casa editrice Caitlin Press, http://caitlin-press.com/al-rempel-in-translation/; ha tradotto, su richiesta dellʼautrice, la short story Sweets da Emilia Fantetti, A Recipe for Disaster, Mother Tongue Publishing Limited, Canada, 2013. Ha prefato Federico Rossignoli, Spolia (Samuele Editore 2015) e Liliya Radoeva Destradi, TiramiSÙ dai giornali (Talos Edizioni, 2015); ha curato lʼediting di Ilaria Boffa, The Bliss of Hush and Wires (Samuele Editore, 2016). È membro della giuria della Festa della Letteratura e della Poesia di Duino e collabora con le riviste Traduzionetradizione (Press Point, Milano) e L’Almanacco del Ramo d’Oro (Trieste).

 
 
 
 
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Corrado Premuda, nato a Trieste nel 1974, è scrittore e giornalista. È autore di due libri di narrativa (di cui su Fucine Mute sono pubblicate alcune parti): Un racconto di frammenti (L’Autore Libri Firenze, 2000), presentato tra l’altro all’Istituto Italiano di Cultura di Malta, e Intrusioni (FPE Trieste, 2004), premio speciale della giuria al concorso letterario Jacques Prévert 2002. Numerosi suoi racconti sono pubblicati su riviste, antologie e siti web: nel 2006 sono usciti I cortili di Berlino, pubblicato sulla rivista letteraria Tratti edita da Mobydick, e Fiepa, inserito nell’antologia Racconti nella Rete edita da Newton & Compton. Con il racconto Particole al cioccolato è uno dei dieci autori triestini dell’antologia Con-Fusioni Triestine / Tršćanska zb(i)rka, con prefazione di Claudio Magris, curata da Valerio Fiandra e Ljiljana Avirović e pubblicata, con traduzione croata, da Edit di Fiume e Antibarbarus di Zagabria e presentata a Pola nel dicembre 2007 all’interno della tredicesima Fiera del Libro in Istria. Nel 2005 il racconto Fantomatico ritorno di Gorizia all’Austria riceve la menzione speciale della giuria al concorso Scritture di Frontiera – Premio Umberto Saba. Altri racconti sono pubblicati da Fara Editore, Hammerle, RottaNordOvest e La Versiliana Editrice e sulle riviste “Graphie” (Il Vicolo, Cesena) e “Indòbia” (pubblicazione sostenuta dalla regione Friuli Venezia Giulia). Ha partecipato a numerosi festival letterari e reading di racconti tra cui LuccAutori (Lucca), Ombelicale (Pordenone), Iperporti (Trieste) e Disorienti (Gorizia). Della sua produzione narrativa si sono occupati, tra l’altro, Cristina Benussi, Alfonso Cipolla, Tommaso Labranca e Alessandro Schwed. Nel 2006 ha curato le letture dedicate a scrittori turchi per la manifestazione I Turchi in Europa organizzata a Palmanova da Europa Cultura. Nel 2004 ha collaborato con Trieste Contemporanea nell’organizzazione del congresso internazionale di letteratura Continental Breakfast. Cultures at work patrocinato dall’INCE Iniziativa Centro Europea. Nel 2000-01 ha collaborato con l’Istituto Italiano di Cultura di Malta e, invitato dal professor Joseph Eynaud, tiene periodicamente lezioni di letteratura e scrittura all’Università di Malta. È stato tra gli organizzatori della prima edizione della Fiera dell’Editoria di Progetto Bobi Bazlen (Trieste, dicembre 2008). Nel teatro collabora da qualche anno col regista Alessandro Marinuzzi (Festival Internazionale di Montalcino, Teatro Stabile Sloveno di Trieste). Ha scritto il testo Destìs diventato poi uno spettacolo prodotto nel 2006 dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e interpretato da Sara Alzetta e Paolo Fagiolo. Su Youtube è visibile il trailer del progetto teatrale Battaglie da bagno di cui ha ideato soggetto e testi. Ancora inedito è il suo testo Guardiana dei sogni. Variazioni su Leonor Fini. Sull’arte e il personaggio di Leonor Fini ha compiuto studi e ricerche, ha scritto articoli e saggi, tenuto conferenze, e sta lavorando a nuovi progetti multimediali ed editoriali, tra cui la traduzione dal francese in italiano di un romanzo breve scritto dall’artista in collaborazione con l’Archivio Leonor Fini di Parigi. Collabora da anni con diverse emittenti radiofoniche: nel 2009 il suo testo Detronizzate (pubblicato sulla rivista La Battana, Edit), diretto da Livio Crevatin, diventerà uno sceneggiato radiofonico per Radio Capodistria interpretato dagli attori del Dramma Italiano di Fiume. Dopo aver lavorato nella redazione milanese del quotidiano la Repubblica, collabora con varie testate: numerosi suoi articoli sono leggibili on line sui siti web dei quotidiani la Repubblica, Il Piccolo e La Voce del Popolo. Tiene la rubrica di libri “Bookcrossing” sul mensile Network NTWK e per quattro anni ha scritto sul quotidiano free-press di Trieste In Città, diretto da Paolo Pagliaro, curando tra l’altro la popolare rubrica di costume “Triestinità”. È archivista e si occupa anche di didattica, tenendo corsi di linguaggio cinematografico nelle scuole. Laureato in Scienze Politiche (indirizzo internazionale) all’Università di Trieste, ha completato i suoi studi prima a Malta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri italiano per svolgere ricerche storico-archivistiche e poi con un master in Gestione e analisi della Comunicazione. Il sito http://www.corradopremuda.com/ raccoglie i suoi lavori.

 
 
 
 
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Maria Milena Priviero nasce a Pordenone nel 1945 da madre istriana e padre friulano, ma trascorre l’infanzia e la giovinezza a Ravenna. Ritorna poi a Pordenone ed opera come Bibliotecaria-animatrice culturale e curatrice del Notiziario del Comune di Porcia – con il patrocinio del quale pubblica anche un saggio nel 1996. Le sue opere, soprattutto di poesia, compaiono in varie antologie. Ha partecipato a partire dal 1999 a diversi concorsi letterari Nazionali e Internazionali ottenendo premi e riconoscimenti di vario grado. Per citare quelli locali: Trieste Scritture di Frontiera poi Premio Saba 2002, (quarto premio-1°segnalato); Leone di Muggia 2007(terzo premio); Bruno Malattia della Vallata 2015, finalista. Nel 2008 le viene riconosciuto il premio “Pur Lilium” per l’attività svolta nel Comune di Porcia e per la poesia. Nel 2013 pubblica la sua prima silloge poetica Il tempo rubato per i tipi della Samuele Editore (collana Scilla, prefazione di Angela Felice). Nel 2014 cura la prefazione e la presentazione del libro I soli(ti) accordi di Carla Vettorello (Samuele Editore) e l’evento Foglie di poesia all’interno della manifestazione VerdArti presso la Villa Correr-Dolfin di Porcia. Nel 2015 cura il Reading 1° Maggio in Poesia, e collabora al volume unico Sopula (Zoppola) con un suo contributo, in occasione del 92^ Congresso della Società Filologica Friulana. Nel 2016 cura gli incontri di poesia Poesia nell’orto e L’armonia del grano presso la Villa Correr-Dolfin di Porcia. Negli anni 2014 e 2015 e 2016 è stata testimonial della Festa di Poesia del Liceo Lepoardi-Majorana di Pordenone. Nel 2016 il suo secondo libro di poesia Da capo al fine (Samuele Editore, prefazione di Silvia Secco).

 
 
 
 
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Lina Salvi nasce a Torre Annunziata nel 1960. La sua prima raccolta poetica Negarsi ad una stella, è stata pubblicata nel 2003 (Dialogolibri, Olgiate Comasco, con prefazione di Giampiero Neri), seguita da Abitare l’imperfetto (La Vita Felice, Milano, vincitrice del Premio Donna e Poesia 2007, e finalista al Premio Baghetta 2008); e da Socialità (Edizioni d’if, Napoli ), entrambi pubblicati nel 2007. Nel 2010, dopo aver vinto il Premio Sandro Penna per l’inedito, l’omonima raccolta, Dialogando con C.S., è stata pubblicata da Edizioni della Meridiana, Firenze, con prefazione di Elio Pecora, nel 2011. Per la collana Fiori di Torchio, curata dal Circolo Seregn De la Memoria di Seregno, ha pubblicato la silloge Lettere dal Deserto con un’incisione di Federica Giudici (Seregno 2014). Inoltre, ha pubblicato su riviste letterarie, siti on line e pubblicazioni antologiche, fra cui: La Clessidra, La Mosca di Milano, Il Segnale, Il Monte Analogo, Gradiva, Le Voci della Luna, Poesia, e nell’antologia Il Rumore delle Parole a cura di G. Linguaglossa (Edilazio, Roma 2015). Di recente una selezione di testi inediti è stata pubblicata nell’Annuario della poesia Contemporanea n. 4 per Puntoacapo edizioni. Suoi testi sono stati tradotti in rumeno e pubblicati sulla rivista Poezia, di Bucarest. (Romania) e inclusi in una tesi di Laurea dedicata sulla poesia e impegno civile dal 2000 ad oggi, presso l’Università di Genova.

 
 
 
 
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Rachel Slade, nata a Putnam nel Connecticut (USA), vive da molti anni a Maniago (Pn). La sua attività principale si sviluppa attorno alla pittura. Le sue mostre più recenti sono “Citizen Ship” (Villa Corrier Dolfin, Porcia PN, 2014, con presentazione di Alessandra Santin), “Crambe Tataria” (Villa Cattaneo, San Quirino PN, 2015, con presentazione di Carlo Vidoni), “Ephemeral” (Teatro Russolo, Portogruaro Ve, in occasione dello spettacolo “Cenerentola” di Sergei Prokofiev). Per la Samuele Editore ha curato la presentazione di alcuni poeti al New York City Poetry Festival del 2014 e diverse copertine della collana Scilla (l’ultima Periferie/The Bliss of Hush and Wires di Ilaria Boffa). Recentemente ha ripreso la scrittura poetica con il progetto La casa apocrifa / The Apocrifal House.

 
 
 
 
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Bianca Sorrentino (Bari, 1988) ha conseguito la laurea magistrale in Filologia, letterature e storia dell’antichità presso l’Università Aldo Moro di Bari, con una tesi comparatistica sulla ricezione shakespeariana delle fonti classiche, e ha recentemente ottenuto un diploma di Master in Economia e Management dell’Arte e dei Beni Culturali presso la Business School de “Il Sole 24ORE”. Si occupa da sempre di teatro e didattica, ha lavorato in Irlanda come assistente di Lingua italiana e ha collaborato con il sito di Parco Poesia, il festival della poesia giovane, ideando e curando una rubrica sul mito. Suoi contributi sono apparsi su “Iris News”, rivista internazionale di poesia, e sul sito del Centro Culturale Tina Modotti i Caracas. È inoltre relatrice presso convegni universitari e incontri scolastici.

 
 
 
 
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Gian Mario Villalta insegna in un liceo ed è direttore artistico del festival pordenonelegge. Ha scritto sulla poesia e sui poeti. Tra gli altri: Il respiro e lo sguardo. Un racconto della poesia italiana contemporanea (Rizzoli, 2005), Andrea Zanzotto, Scritti sulla letteratura (Mondadori, 2001), Andrea Zanzotto, Le Poesie e prose scelte (I Meridiani Mondadori 1999, con Stefano Dal Bianco). Come narratore ha pubblicato con Mondadori una raccolta di racconti e quattro romanzi. In poesia: Vose de Vose / Voce di voci (Campanotto, 1995, Premio Lanciano), Vedere al buio (Sossella, 2007), Vanità della mente (Mondadori, 2011, Premio Viareggio, Premio Diego Valeri). Telepatia (Lietocolle-Pordenonelegge 2016).

 
 
 
 
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Elena Zuccaccia (1988) è nata a Perugia e lì vive studia e scrive poesie. Cura il blog comebavadilumaca.wordpress.com. Collabora con il progetto Umbria Poesia. Sue poesie sono apparse su blog e riviste on line, e vedranno a breve pubblicazione in silloge.

 
 
 
 

PRESENTAZIONE MOSTRA RACHEL SLADE

 

La ricerca del sé, della propria identità, è un compito che ha impegnato ogni individuo, nel corso del tempo e nell’alternarsi delle generazioni. Si tratta di un atto fondante e, come tale, richiede il superamento di alcune prove, l’attraversamento di situazioni di pericolo. La pena per coloro che hanno timore nell’affrontarle è quella di permanere in un limbo esistenziale, massificarsi in futili vite precostituite. Guardando le opere di Rachel Slade pare che esse ci parlino di questa grande prova, che lei affronta e vive attraverso la materia pittorica. La pittura è di per sé stessa un’ardua sfida, nella quale Rachel si cimenta col coraggio di una sciamana che si avventura in una tenebrosa foresta. I suoi ultimi lavori, che si mostrano come grovigli tortuosi di colore e sovrapposizioni di segni, paiono essere uno strano stato di equilibrio tra l’esplosione, riversamento dell’interiorità verso l’esterno, e l’implosione, il collasso che porta all’interno le molteplici immagini del mondo. La forza delle opere di Slade sta proprio nell’assumere una condizione di incompiutezza, lo stallo tra queste due tensioni contrapposte dalle quali emergono, sotto la superficie del conscio, filamenti, stratificazioni, segni indistinti. Il luogo profondo dal quale giungono le sue immagini ha a che fare con una condizione primaria, archetipica, che ci riconduce alle radici di un sentire collegato alla natura. Da questo universo sommerso e ribollente affiora con potenza l’immagine del selvaggio, che per Slade è la wilderness, ma anche l’immagine della grande frontiera americana, quel senso del territorio sconfinato di cui il suo paese d’origine è ancora oggi ricco. Tutto ciò ha a che fare con lo spazio, che per l’artista ha un valore simbolico e fa assumere ai suoi dipinti il significato di paesaggi interiori rivelati, riconnettendoli così alla grande tradizione romantica d’oltre oceano che esplorava il senso del sublime e dell’ignoto, dalle vastità degli abissi di Moby Dick, alle selvagge foreste narrate da Jack London e infine alla libertà del vivere fuori dalla civiltà cantata da Thoreau. I lavori di Rachel Slade ci parlano di molte cose, se siamo capaci di sentirli, lasciano intuire un sottile e continuo lavorio interiore che sceglie di manifestarsi senza percorrere la via della razionalità, ma fa fluire ogni cosa custodita e compresa interiormente in modo assoluto e primario, con potente intensità. I dipinti ci fanno intuire anche il legame con la poesia, altro linguaggio utilizzato dall’artista, che qui però si destruttura in puro segno e materia cromatica, alla ricerca di contenuti e modi originali che sono altri rispetto a quelli poetici. Slade nei suoi lavori sembra voler affrontare un compito titanico, mettendo in connessione spazio interiore con paesaggio, linguaggio personale con simboli psichici universali, storia e vissuto intimo con contesto sociale, mantenendo aperta, attraverso la pittura, quella finestra che consente di far dialogare dimensioni ed universi paralleli. La sua è una pittura difficile, che rifiuta ogni decorativismo, non cede mai alla piacevolezza di forme e colori fini a sé stessi, ci invita invece a superare la prova del primo impatto visivo per condividere una condizione di avventura e rischio. Alle soglie di un’arcana foresta ci richiama il suono di una nenia misteriosa che, ascoltata con tempo e sincerità, scioglie le nostre paure e resistenze, offrendoci l’opportunità di un viaggio in territori inesplorati.

Carlo Vidoni

 
 
 
 

SCHEDE LIBRI IN PRESENTAZIONE

 
 

Telepatia (Lietocolle-Pordenonelegge 2016)
di Gian Mario Villalta

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Telepatia si compone di diciannove poemetti di quattro testi l’uno (le eccezioni confermano la regola) che in qualche modo non vogliono dire nulla di nuovo, che non si allontanano da una quotidianità assolutamente condivisibile, dove le tematiche identificabili sono l’io di tutti i giorni, la famiglia, l’amore, la fine della civiltà contadina, il dolore, gli altri. Perchè in effetti la poesia quand’è vera non necessità di costruzioni o sovrastrutture in quanto si trova già nelle pieghe dei momenti che si susseguono e formano il tempo. Una telefonata, un albergo, un viaggio, lo stare all’ora di pranzo tuttinsiemeacasa. Non scopre nulla ma evidenzia. Ed in questo si inscrive un dettato fluido e scorrevole che ha nelle pause di riflessione la verticalità più intensa di Villalta (Perdere il dolore / a volte è perdere tutto […] Sa la speranza solo chi dispera […] Lo so che nascere fa male. Lo so che respirare / appena nati è tremendo. E appare naturale. / Come l’amore quando arriva e chiedi / un giorno ancora un giorno un giorno ancora). L’autore sa bene che la poesia non è una conseguenza della vita ma un modo di esserci, non una necessità ma una consapevolezza. Ed è in tale consapevolezza che si ritrovano le due caratteristiche dominanti di Telepatia. La prima è l’attenzione al dolore, alla sua semplice e inevitabile esistenza che comporta un altrettanto inevitabile dovercisi rapportare, non giustificandolo ma convivendoci. A tratti convergendoci. Sia esso una mancanza tanto quanto una presenza (in Villalta sono spesso sinonimi sfumati). Una convivenza che porta a chiedersi chi si è, chi siamo, ma anche che cosa è l’amore, la solitudine (Va bene questa solitudine. / È la mia. Ho imparato, / e mi fa compagnia. […] Ricordo con poca tenerezza / quando mi ritenevo necessario. / E poi non più). […] Telepatia è un libro del dolore e del rapporto con gli altri che conferma la voce già ben nitida di Villalta nel panorama letterario contemporaneo. Un libro dell’esperienza che diventa dialogo nel raccontare ciò che c’è. Dove il dialogo è la vera e sostanziale componente poetica con uno stile che cerca l’incontro, la condivisione, la consonanza con se stessi e gli altri. Dove al lettore non è richiesto di stupirsi o emozionarsi ma di accorgersi della vita. La qual cosa, riuscitissima in Telepatia, è uno degli obiettivi più alti e caratterizzanti di ciò che chiamiamo Poesia.

Alessandro Canzian

 
 
 
 

Mito classico e poeti del ‘900 (Stilo Editrice 2016)
di Bianca Sorrentino

 
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Il mito è la storia che l’uomo racconta a se stesso per dare forma al caos; nella Grecia antica il bisogno di conoscere il mondo ha dato vita a una serie di racconti che inizialmente sono stati tramandati esclusivamente per tradizione orale e in forma poetica. Il volume accosta il mito antico a versi della poesia contemporanea rintracciandone le affinità; «la forza del suo lavoro è nella grande leggibilità, nella grazia con cui sa essere accessibile e profonda» (dalla Presentazione di Isabella Leardini). I componimenti poetici proposti sono di: Anna Achmatova, Attilio Bertolucci, Jorge Luis Borges, Bertolt Brecht, William Bronk, Rosario Castellanos, Nicholas Christopher, Lucille Clifton, Marina Cvetaeva, Peter Davison, Eugénio de Andrade, Hilda Doolittle, Louise Glück, Zbigniew Herbert, Konstantinos Kavafis, Osip Mandel’štam, Alda Merini, Heiner Müller, Mary Noonan, Dorothy Parker, Pier Paolo Pasolini, Cesare Pavese, Sylvia Plath, Ghiannis Ritsos, Maria Luisa Spaziani, Pamela Spiro Wagner, Wisława Szymborska, Judita Vaičiunaitė.

 
 
 
 

Epica dello spreco (Dotcom Press 2016)
di Laura Di Corcia

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Laura Di Corcia ha decisamente voce, come lo si direbbe di un cantante. Fa una poesia piena di invenzione che parla del soffocamento nella stasi delle cose e della liberazione nel loro compimento, e che si chiama epica dello spreco perché ritrae la dimensione eroica dell’essere gettata nell’inutilità del tempo. Quindi nel libro ci sono la natura, la disillusione, la rabbia del vivere; il cadere e rialzarsi come forma di coraggio essenziale. C’è la voglia di capire davvero (oltre l’emotività) l’enigma di quel che esiste greve al centro del tempo, cioè la sua tensione circolare e ripetitiva. Tutto questo con belle, molto belle rime inattese.

Anna Lamberti Bocconi

 
 

Queste poesie, scritte dall’autrice nell’arco di alcuni anni, devono essere lette come sincera e valida testimonianza di un personalissimo e difficile percorso esistenziale, tutto in fieri: l’ansia di ricerca emerge da ogni verso, dove si susseguono metafore che hanno spesso verticalità e potenza visionarie. Laura Di Corcia è una giovane donna che, da poeta, vive in maniera sofferta, lacerante le contraddizioni del nostro tempo, avverte le difficoltà del proprio cammino, sente l’urgenza, la necessità di tradurle in poesia.

Laura Garavaglia

 
 

Apparentemente lirica, con una monodia in prima persona che sorregge tutta la struttura del libro, la scrittura dell’autrice rifugge da scelte metriche o prosodiche definite, affidando alla tensione del pensiero e delle immagini la forza del suo percorso; quasi una freccia volta a un obiettivo invisibile, inesistente ma non per questo meno dolente. Il lavoro di questa poesia non è un lavoro sulla parola, ma con la parola, che rileva per quanto di euristico, di comprensibile riesce a “formare”, o, se si vuole, a svelare.

Viola Amarelli

 
 
 
 

Trilogia poetica di Sandro Pecchiari

Verdi anni (Samuele Editore 2012, collana Scilla, prefazione di Roberto Benedetti)

Il titolo Verdi Anni, eco della suadente malinconia di un fado, rovescia il topos adolescenziale dei tradizionali ‘anni verdi’ nella felice opportunità – sempre possibile per ognuno – di un rinnovato amore tardivo, anche in età avanzate della nostra vita. […] La silloge si dipana quale mappa esistenziale di un uomo maturo, coinvolto in un viaggio causato dal forzato e lento abbandono di un porto amico, divenuto ormai solo vuoto contenitore di ricordi. Segue un vagabondare necessario, intercalato da esperienze giocose quanto inconcludenti, prima del miraggio di un nuovo approdo lungo coordinate levantine. Un “romanzo” in versi, oscillante tra morte e vita, tra affettività rassicuranti e abbagli di un istante o di una notte. […] Fa parte di questo nomadismo poetico l’intreccio polifonico di lingue e dialetti che costellano il percorso di ricerca, specchio della professionalità dell’autore e insieme fotografia di un orizzonte dilatato grazie all’incontro arricchente tra vicino e lontano, tra qui e altrove, tra indigeno ed esotico, tra presente e storia, tra disincanto e incanto. […] Una teoria di opposti, volta a ricreare – tramite l’incrocio di suoni, segni, culture – la perduta Armonia. Apertosi con una similitudine (un’era glaciale […] come una glassa da barba), con l’immagine del vuoto espresso attraverso un non colore – il bianco fastidio – metafora dell’uomo sconfitto, Verdi Anni pone a sigillo del suo verso conclusivo il verbo stare, a riprova di una nuova possibile stabilità di vita, di una pienezza ritrovata, di un tempo fatto di colori alfine attinti in una terra di latte e miele.

Roberto Benedetti

 
 

Le svelte radici (Samuele Editore 2013, collana Scilla, prefazione di Mary Barbara Tolusso)

Canzoniere abitato e toccato dagli uomini, soprattutto attraversato, reso noto dall’importanza che hanno per il poeta i luoghi riportati alla fine dei versi, le città in cui quei versi sono stati ispirati. Nel libro si sceglie il “contatto” della visione, di immagini piane – ma anche labirintiche – che non dimenticano mai di attraversare le cose stesse. Sono paesaggi captati nel loro carattere assoluto proprio perché mantengono la naturale carica vitale di una visione, se così si può dire, fatta di istanti e natura (tanto da farci venire in mente, talvolta, quel capolavoro d’immagini che è stato Picnic a Hanging Rock). L’equilibrio è sostenuto anche da una tecnica che domina una linea classica (spesso viene in mente Foscolo. O Leopardi), che ben corrisponde al carattere introspettivo e meditativo del libro. Una poetica dello sguardo (anche) panico ma dove, attenzione, non c’è nessuna istanza consolatoria, almeno di prima battuta, fin dall’inizio infatti l’autore ci ammonisce senza troppe mediazioni: E mentre voli in questi luoghi/ li tocchi quasi e quasi li conquisti/ regala loro presto un nome/ perché da qualche parte/ il tuo gran regno sta diventando pioggia. […] C’è sempre un’immagine aperta nei versi di Pecchiari, allo stesso modo in cui molte chiuse si sottraggono da un gioco ellittico, che è poi la giusta strada per introdurci nella sezione di lucreziana memoria: De rerum natura; la natura delle cose di Pecchiari detiene la consapevolezza di una vita che, rispetto a noi, la farà inevitabilmente da padrona. Epicurèo quanto basta per assumersi la responsabilità del suo canto anticonsolatorio, il poeta non arretra, continua ad accompagnarci nel suo viaggio dov’è indagata la natura dell’uomo e delle cose e che, nonostante la paura e la transitorietà, invoca ancora quell’Ulisse che verrà alfine/ che siamo ancora pedine nel suo viaggio/ e lui nel nostro. Desiderio, dunque, è la parola che viene in mente, nelle sue accezioni di assenza e dove il gioco è proprio lì, nel rincorrere ciò che manca (ciò che non si conosce), nutrirsi di differenze insomma, abitare un Posto nuovo, che è anche il titolo della terza sezione del libro e il cui incipit (la prima strofa del testo “Dove?”) è una tra le immagini più belle per visionarietà e forza sinestetica. Ma tutta la sezione tiene il passo ed è forse il segmento più alto del libro. Il nomadismo, il contrasto delle percezioni caratterizzano l’approdo a una voce lirica. Un periodare che riesce a rendere lirica la resistenza del dato ordinario, l’irrompere della morte nella vita che espone a contraddizioni, strappi, paradossi (Al vento conosciuto, al vento sconosciuto, In lode della sabbia e della neve, Mamoun, tra le altre) e dove l’ultimo dato certo rimane – proustianamente – la parola, la scrittura. Parola recepita anche nella sua incapacità di dire (e di dirsi) pur nella sua potenzialità decisiva, quella del nostro esistere.

Mary Barbara Tolusso

 
 

L’imperfezione del diluvio (Samuele Editore 2015, collana Scilla, prefazione di Andrea Sirotti)

La terza raccolta di Sandro Pecchiari, L’imperfezione del Diluvio / An Unrehearsed Flood, è costituita da diciannove poesie bilingui sulla condivisione, sulla precarietà e sulla perdita.Si tratta di testi asciutti e forti in cui il dolore si elabora e si cristallizza in immagini di esemplare e ficcante quotidianità: gesti scolpiti e sospesi, piccole epifanie e resistenze contingenti che si contrappongono all’incombente vuoto spazio-temporale. In tale contesto, i preziosi momenti di amore e di gioia scaturiscono con una forza dirompente e abbagliante: che occhi limpidi che hai; il tuo sorriso ferma il fiume gonfio / … / tu mi riavvolgi. […] La poesia, giocata su molti felici cortocircuiti di immagine e senso, asseconda e formalizza l’angoscia della dissonanza, la percezione di una crepa destinata ad allargarsi, sperimentando al tempo stesso l’equilibrio mirabile e illusorio di una spavalda, benché temporanea, saldatura. Colpisce la costante presenza di parole che alludono a tagli o trafitture: Trieste rincorre / … / l’aria inerpicata / fiocinando campanili; allevia l’erosione dell’insicurezza / infìlzati; alto e fiero nel mio odio di siringhe; staccandosi la vita … prima di tagliare il filo; un coltello profondo mi mantiene in vita, metafore allo stesso tempo della minaccia del tempo (e del male) e del tentativo di opporvisi, suturando e ricomponendo. Un’altra nota ricorrente è la presentazione reificata dell’assenza e del vuoto; assenza che diventa una presenza ingombrante e gravosa: ora il patio è vuoto / vuoto il vaso /e non ne reggo il peso; e anche: L’essere privato di un passaggio / tra il vivere che resta / e te / mi fa immobile nella diminuzione /… / si cade/ per mancanza o come nella bellissima chiusa dagli echi eliotiani della poesia XVI: in questo cristallo d’aria / mi mostrerò le mani il mare gli occhi / vuoti / il vuoto dentro. Se in queste liriche vi è una speranza, è nella tensione verso la mutabilità, verso un non meglio definito passaggio di stato, di condizione: o il tempo accade, non mantenerlo eguale; l’essenziale è arrampicarsi / per sforzare i legami. Come nella splendida poesia IX, in cui l’allusione alla guerra di trincea – echi bellici compaiono anche altrove nella silloge, in termini come s’accampa, assedio, allerta, ecc. – si erge a metafora dell’impari battaglia per un salvifico mutare di stato (nella guarigione? Nella morte?): dormi come un soldato in trincea / la guerra dentro / il mio turno di guardia / ignora rancio e sonno e tempo // attendiamo di mutare / questa notte / tu sei più agile di me. Le due versioni italiana e inglese sembrano costruite su equilibri poetici diversi, prodotti di fattori in cui il risultato non cambia. L’autore tende a riprodurre lo stesso ordito fonico, ma con modalità diverse, caratteristiche delle due lingue, e con una diversa distribuzione all’interno del sistema poesia.

Andrea Sirotti

 
 
 
 

La parte dell’annegato (Nottetempo Editore 2016)
di Laura Accerboni

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Al suo secondo libro di versi, dopo Ciò che non è stato (Edizioni del Leone, 2012), Laura Accerboni porta a compimento le premesse già annunciate da quel volume. L’universo concentrazionario e violento che sostanzia la sua materia poetica viene delineato, descritto, alluso, con un lessico esplicitamente povero, un verso al limite dell’afasia. Ma si tratta di un’afasia che è artificio voluto dall’autore per dare al suo inferno interiore, come controcanto musicale, un’immediata e agghiacciante semplicità. Non accentuando mai il lato drammatico delle emozioni, Accerboni si limita a registrare. E la sua poesia, sia quella intima come quella civile, ci porta alle soglie di un’apocalisse senza ritorno, echeggiando la poesia asciutta e brevissima dell’ultimo Gunter Eich. Si resta sbalorditi da come la giovane poeta possa scolpire versi e versicoli con tale sapienza stilistica da sbalzare la materia che trattano (stragi, eccidi, soprusi, conflitti) creando un’esperienza di shock. Il critico può, a questo punto, solo compilare la personale antologia delle poesie che lo hanno maggiormente turbato. A Laura Accerboni sarà indifferente la sua opinione perché lei continua ad annotare, dettaglio dopo dettaglio, la crudele parte dell’annegato, continuando a usare un linguaggio comune che si fa all’improvviso estraneo. Moderno Woyzeck di anni senza eroi, il poeta ha saputo piantarsi i chiodi nelle mani, è diventato una persona ferma: ha incollato il lettore al suo mondo interno, ipnotizzandolo.

Marco Ercolani

 
 
 
 

Semiotica del male (Campanotto 2016)
di Flaminia Cruciani

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Un flusso sfrenato compone questo libro in undici parti trascinati alla rivolta totale al Reale e ai compromessi che impone. La scrittura difende il soggetto della scrittura dal mondo e dall’immobilismo prescritto non solo al femminile e simultaneamente prefigura di farla pagare cara a chi provi ridurre le sue differenze secondo le modalità dei codici culturali e comportamentali noti. Rifiutando interpretazioni rassicuranti la poetessa non petrarcheggia, quindi, sul male, ma evoca frammenti di esistenza come effettuale rischio al proprio esserci. Il male imposto dalla Realtà non viene mascherato, truccato, ma costretto a incedere sotto i riflettori del senso analogico, come funtivo fondante le forme del comprensibile, una vera chiave ermeneutica. Flaminia Cruciani respinge con ira ed eroismo il richiamo del tripudio eudemonico, pare chiaro come il soggetto metamorfico della scrittura preferisca morire piuttosto che vivere come un comune mortale.

Tomaso Kemeny

 
 
 
 

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