Il tempo rubato – Maria Milena Priviero

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ESAURITO
 
 
Prezzo: 9 euro
Isbn: 9788896526385
 
 

Il tempo rubato
Priviero Maria Milena

Prefazione di Angela Felice

 

 

 

 

Ha un tocco di cristallino nitore, si direbbe oraziano, la poesia di Maria Milena Priviero, baciata dal raro dono della leggerezza e della trasparenza. è una voce che si inibisce ogni espansione sentimentale, tenendosi sul limite della presenza, come dice una lirica, con parole di indiretta ritrosia all’autobiografismo. Ed anzi, secondo una raffinata strategia di parentesi e di punti di domanda e di sospensione, essa smorza ed attenua  l’intrusione dell’io, che pure occhieggia qua e là, ma sempre come presenza discreta, destituita di autorevolezza  esemplare e semmai atteggiata a mimetizzarsi e proiettarsi dietro e dentro una parola di risonanza universale, di cui è spia in molti testi l’uso degli infiniti verbali senza soggetto e, talora, del si di spessore impersonale.
è invece alle cose, anche a quelle della cronaca spicciola del quotidiano, che questa poesia si appoggia. Sono cose della realtà umana e della natura delegate a farsi tramiti di una appartata sensibilità, spiazzate dal proprio significato corrente dentro lo stesso giro breve del testo e sgranate infine nelle immagini di una sospesa investigazione. Ed ecco che la data segnata sull’agenda si trasfigura nell’auspicio di un giorno verde e in promessa possibile di serenità (L’agenda). E, ancora, ecco che i rigagnoli della pioggia slittano impercettibilmente con inediti corto-circuiti in gocce di sogni irrealizzati che scivolano sui vetri del tempo, per gettarsi e finire nel mare delle speranze deluse (Sui vetri del tempo).

[dalla prefazione di Angela Felice]

 

 

 

… E così mentre mi dicevo

è passato un giorno
da ieri, nulla da mettere
da parte per un altro:
attesa solo di un passare,
d’una pagina (festiva)
di calendario,
sfogliata e basta.
Le ore, loro,
(di sessanta minuti uguali)
tacevano anche di un sorriso,
sì, nemmeno, né meno
di così,  almeno…
e così mentre mi dicevo
vedrai che passa,
è passato.
Era ieri, prima e prima
ancora: un è stato
(ormai uno stato).
Oggi? Oggi ho ricominciato.

 

 

 

Sogno d’inverno

In sogno innamorarsi di una voce
di una laurea in veterinaria,
un juke box, tre canzoni
e una minigonna blu

Con una ragazza bruna accanto,
diciottenne, dell’amore
si parla per strada
tra la gente

Un profilo biondo, segnato
esce dall’anonimato
e con voce indifferente
dice: «Un caffè?»

Per mano andiamo
«peccato» dice «peccato»
solo adesso ci incontriamo

 

 

 

Il senso d’essere

E se lo sguardo alzo verso
il cielo, come cenere la vedo:
residui corpuscoli di un falò
spento, da grigie nubi,
volatili nel vento.

Per gravità in caduta
in balia delle correnti,
dispersi, trovano candore,
sullo sfondo
oscuro delle cose.

Senza di sé sentore
vero, senza spessore ancora,
si posano l’uno all’altro
accanto, a ricucire insieme
il senso (della neve) d’essere manto.

 

 

 

Beni

Presto, questa mattina
ho fatto la conta
dei beni di famiglia:
un marito due figlie
un nipotino,
due generi e ancora
appena fuori
dal nucleo ristretto,
una mamma due
fratelli, cinque
nipoti (di zia) uno zio
e senza stare troppo
attenta alla sequenza,
una suocera tre
cognate un cognato
e poi il mio gatto
(che veniva prima)
e i due di mia figlia
qualche amico contato,
una betulla, il canto
degli uccelli, un’aria libera
fresca e una parola
nuova che l’attraversi

 

 
 
ESAURITO