Gabriella Sica su “Alfabeto dell’invisibile” di Chiara De Luca

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Gabriella Sica. Una lettera a Chiara De Luca

Roma, 18 novembre 2015

 
 

Cara Chiara, sei una vera forza della natura con il tuo gran lavoro sulla e per la poesia, un lavoro intenso qualunque cosa tu faccia: scrivere, tradurre o pubblicare poesia. Ti sei rimboccata le maniche in questi nostri anni così precari e in modo fiero e indipendente ma non solitario, concreto e reale, come solo le donne possono, vogliono e fanno. E la tua chiarezza e la luce che insegui e che sei le porti come insegne o vessilli già nel tuo nome che non ha niente di ossimorico. Ci siamo viste solo due volte a distanza di anni e i tuoi progetti li realizzi, nonostante tutto. Ora mi giunge il tuo nuovo libro di poesia, Alfabeto dell’invisibile. Non a caso scrivi e ti stringi all’alfabeto, alle lettere costitutive della lingua. Non hai bisogno di troppe spinte per partire e andare. Dove? Intanto parti velocemente, è un istinto quello alla partenza che hai nel sangue, l’hai sperimentato ampiamente nella tua vita. Cuci lettera a lettera, scorrazzi nel recinto dell’alfabeto e delle tue parole come nel recinto della tua Ferrara, salti e giochi in quello spazio chiuso dell’infanzia, batti e ribatti per aprire nuove antiche strade, con fermezza e tenacia, con fragile insostenibile durezza. Cammini, pedali e voli su quelle strade familiari che ritrovi intatte ora che sei tornata, dopo un’assenza di vent’anni, nella tua città originaria. Si sentono nel tuo pedalare le ruote delle biciclette di Micòl e Alberto. Si sente il tuo dolore che è come un seme acquattato nel buio, invisibile nell’invisibile. Vai rapida e senza soste, sei quasi una maratoneta, corri ogni giorno qualche chilometro e corri sul ritmo dei tuoi endecasillabi lunghi che si prolungano sempre oltre, come i tanti dei poeti inglesi da te più amati. Non sono evidenti i tuoi maestri perché ne hai conosciuti sulla carta tanti e tanti di altri paesi, è evidente l’intensa frequentazione della poesia anglosassone più che italiana. Scivoli via, per la precisione fuggi, scivoli, sgusci per usare i tuoi termini. “Corri forte lepre dov’è inutile la fuga”. E “non si sazia mai di quel suo andare”. Hai visto il mondo e l’hai conosciuto, ma c’è sempre il nostro mondo originario che ci aspetta e chiede un riconoscimento, vuole essere testimoniato: “ricongiungo i punti / per ritracciare…”. Ora a debita distanza vedi come si muove il piccolo mondo d’un tempo. Ora sai che gli dei dalle sembianze umane non ci sono più, che i corpi sereni e tragici che si accampavano nella loro eloquente nudità sui vasi antichi greci ed etruschi si sono ritratti, e rimane il paesaggio. Lo sai bene tu che ti sei laureata su Rilke e non può non essere un tuo riferimento. C’è una sua bellissima frase a lui stesso oscura che si presta al tuo libro: “Non ci si può destare se prima gli occhi non sono ritornati”. Ecco, anche tu che hai ridestato quel che era opaco, hai conservato occhi per perforare l’invisibile, scendere là dove tutto sfugge, dove c’è tanta acqua che scorre. Gli occhi sono come le stelle, che illuminano il paesaggio e tu vuoi sempre vedere di più. Ma cos’è l’invisibile per te? L’invisibile figura anche in un mio titolo, Sia dato credito all’invisibile, e per me sono i poeti e gli amici che non ci sono più, il passato che non è più presente e chiede di dare forma al futuro, la memoria che modella i nostri giorni, l’architettura che ha formato la città. Per te a essere invisibili sono le figure care che si dissolvono nel passato mantenendo nitidi i contorni severi e autorevoli, è una forma dell’enigma, sono gli “invisibili avanzi di pane”.

E se tu Chiara fossi un pittore, come pure in parte sei perché con le tue lettere davvero dipingi una Ferrara di strade e di spigoli e rinomini tante vie con le loro fughe come per rassicurarti del tuo ritorno, se fossi dunque tu un pittore rappresenteresti il paesaggio di una città che è la tua città (nei primi quadri del tuo libro) e il paesaggio del mare (nei quadri marini a fine libro) che non bagna Ferrara ma è poco più in là, è appunto un’apertura, una possibilità, una visione ulteriore. Perché la tua Ferrara non può non ricordare la città-prigione di Tasso o le piazze vuote di De Chirico o il giardino sparito di Bassani. I volti, cui pure dedichi la sezione centrale, sono opachi, ombre acquattate nell’invisibile del tuo presente, fantasmi che popolano la tua mente da cui balzano le figure diafane e pungenti di Chiara bambina che spia la madre silenziosamente seduta in cucina dopo la fatica della cena, un occasione per sperimentare la meravigliosa affinità con l’infanzia che ogni poeta non può non sentire.

La pioggia salita dalla terra poi cade circolarmente, la nebbia che avvolge le case e le vie di Ferrara, il vento e le nuvole che trascorrono sulle cose sono nel tuo alfabeto le forme di pietà che ricadono sugli uomini e sulle donne, quelli che hanno visto molto e molto hanno pianto.

Auguri e auguri, cara Chiara, a te e alla tua poesia. Gabriella

 
 
 
 
 
 
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