Soglie
Un’anteprima de La gravità della soglia
di Roberto Cescon (Samuele Editore 2010) + tre inediti
Il presente articolo è tratto da http://giocattoliblog.wordpress.com/2013/11/09/roberto-cescon-soglie/ – che ringrazio
L’immagine è di Davide Bramante: “My own rave” (Londra), 2007, foto analogica, cm 75×100 ed. 1/5.
Si dibattono cause, dunque, nelle sue pagine, ma non si gioca in casa. “Straniero” è estraneo, è fuori dalle mura, è oltre confine. E il titolo ci riporta esattamente qui, in questo non luogo: La gravità della soglia, in cui in ‘soglia’ c’è un dentro e un fuori, un di qua e un di là, un essere presenti o non esserci affatto. […] Fuori citt{ c’è la terra di nessuno, la frontiera, al di là della quale nulla più è certo e ci si deve rimettere all’oscuro. Ma Cescon, e qui il nostro smarrimento, intravede l’oscuro nelle cose che ha attorno, come se ci fosse sempre, proprio dentro la nostra casa, qualcosa che non collima, lasciandoci perplessi.
Giulia Rusconi, da http://lapoesiadelgiovedi.blogspot.it
Le parole quando s’impadronivano
dei giorni era un modo per salvarsi,
il solo. Di fronte a quelle teorie
di alberi rosa aveva un senso allora
guardare e metterle insieme
senza però riuscire le ferite
e i brividi a sentirli sulla pelle
che significa vivere.
Non so come chiamarlo questo bene
che ti voglio quando mi sveglio
e vicino le coperte respirano calde.
Non so come chiamarlo questo bene
quando guardo il soffitto, tu il mio petto
e parliamo di ciò che saremo.
Questo bene non ha nome, oppure il nostro.
Vorrei dire le parole, vedere
un orizzonte tra le crepe delle cose
quando mi dici che esser felici
è desiderare ciò che si ha
anche se è facile tradirsi,
e fermarsi nel respiro di un posto
dentro il refolo di una sineddoche
o spegnere la luce
e sapere che sarai sempre lì,
finché crederò nei sogni cagliati
in questo spazio nel mezzo possibile.
Roberto Cescon, inediti
L’autore friulano, dopo Vicinolontano (Campanotto, 2000) e La gravità della soglia (Samuele editore, 2010) prospetta negli inediti una lingua ‘poca’ (povera) più attinente o in re per «coprire la distanza dalle cose». Quelle parole che non bastano, che sottendono tutta l’inadeguatezza della lingua di fronte alle cose e alla direzione che queste prendono, antivedendo e precedendo il significato, langue e parole, rappresentano dunque un dato nuovo di partenza, una competente humilitas o luziana ‘aderenza alle cose’. Ed è, non a caso, una ripartenza che ha a che fare con il paesaggio contemporaneo dei non-luoghi e del soggetto (natura naturans), e con un ‘ritorno’ all’oggetto di natura (natura naturata): «La folata che fora e grigi si fanno i riflessi / negli alberi di novembre, nei pendii del primo gelo / il declino del bosco farsi nel respiro / le fronde finire tra le suole / il letargo della terra bucare la prima pelle» (Ostan); «chiudendosi l’occhio non dispera / di toccare le forme della luce / la vera natura dei contorni, i margini: / vuoti mutilati di frontiera tra te / e il passo circolare della sera.» (Corsi); «U n’è mai l’òura / par i treni ch’i n s’férma. / Ma néun i s’{ zcórd / te mèz dla camp{gna / a zcòr m’i giraséul ch’i piénz.», «Non è mai l’ora giusta / per i treni che non fermano. / Ci hanno dimenticati / in mezzo alla campagna / a confortare i girasoli che piangono.» (Teodorani). Nei versi affilati e precisi, nitidi e delicati della neodialettale di Santarcangelo, che già in Sòta la guàza, Sotto la rugiada (Il Ponte Vecchio, 2010) tra fragilità e stupore marcava i sentimenti e le attese, di una condizione creaturale tra sospensione stupita e ansia, come in questo essere ‘dimenticati in mezzo alla campagna’ c’è ora tutto lo spaesamento, spesso raccontato con le venature minimaliste e intimiste di un’esperienza che non cessa mai di dire io, e di dire noi. Perché quando ci dicono dell’esperienza di solitudine, anche questi 4 autori ci riferiscono di una solitudine non chiusa né ripiegata in sé, bensì popolata di discrete presenze: «Ognuno tiene le altre cose per sé. / Nelle loro vite c’è la direzione della mia» (Cescon).
Manuel Cohen, da Atelier, n. 65, 2012
La direzione delle cose
La mano sulla sveglia ferma la notte
nel tempo che ancora ci prendiamo.
La tapparella taglia i contorni.
L’acqua nel termosifone è l’inizio
del giorno, le cose da fare.
Se dico ciabatte, armadio, servomuto,
so come arrivare alla porta.
La direzione delle cose è nelle parole
che dico, ma esiste prima.
Quando mi colpisce, cerco parole
per dirla, ma spesso non bastano.
Forse nel buio le cose
hanno una loro intelligenza
perché sono più di quello che siamo.
Le donne dei poeti
Le donne dei poeti sono sante
chilometri e serate per sentirli
e dire sempre bene, è andata
bene, come al solito.
Sorridono davanti
pensando che col premio il poeta
pagherà l’assicurazione.
Sorseggiano in disparte
sperando che non faccia troppo tardi.
Talvolta, dopo essersi annusate
quanto basta, si siedono vicino
ad altre donne di poeti
parlando di vacanze, vestiti,
che il poeta non fa la lavatrice,
e biasimano gli altri menestrelli,
pesanti e incomprensibili.
I poeti sono molto fortunati
perché le donne stanno insieme a loro
non certo per i soldi,
ma perché poeta è la ciliegina
su qualcosa che all’inizio era perfetto.
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